Diana Athill
Cut (perhaps that should be CUT): only by having no inessential words can every essential word be made to count.
(Taglia (forse si dovrebbe scrivere TAGLIA): si possono far risaltare le parole importanti solo se non ci sono parole inutili)
Esther Freud
- Cut out the metaphors and similes. In my first book I promised myself I wouldn’t use any and I slipped up during a sunset in chapter 11. I still blush when I come across it.
(Taglia metafore e cose del genere. Nel mio primo libro mi ero ripromessa di non usarne, ma ci cascai in pieno durante un tramonto nel capitolo 11. Ancora arrossisco quando mi capita di rileggerlo.)
3 Editing is everything. Cut until you can cut no more. What is left often springs into life.
(L’editing è tutto. Taglia fino a quando non puoi tagliare più niente. Quello che resta spesso prende vita)
Sarah Waters
- Cut like crazy. Less is more. I’ve often read manuscripts – including my own – where I’ve got to the beginning of, say, chapter two and have thought: “This is where the novel should actually start.” A huge amount of information about character and backstory can be conveyed through a small detail. The emotional attachment you feel to a scene or a chapter will fade as you move on to other stories. Be business-like about it.
(Tagliate come matti. Meno è meglio. Mi è capitato spesso di leggere manoscritti – compresi i miei – dove ho dovuto tornare, tipo, al capito due e ho pensato: “Qui è dove la storia comincia davvero.” Un sacco di informazioni importanti su personaggio e trama possono essere trasmessi utilizzando solo un piccolo dettaglio. L’attaccamento che si prova per un capitolo o una scena si indebolisce man mano che procedete verso altre storie. Siate manageriali in questo. )
Il lavoro vero è l’Editing
Il verbo “cut” pulito pulito non ricorre poi tanto nella raccolta delle dieci regole del Guardian, e quelle poche volte ve le ho riportate qui sopra insieme alle frasi cui appartengono. Ma i suoi equivalenti, parenti, cugini di secondo grado e dirimpettai li incontrate ad ogni angolo, e quello che incontrate più spesso si chiama editing. Prendiamo per esempio (ma non è l’unico) il signor
Will Self, che dice:
- Don’t look back until you’ve written an entire draft, just begin each day from the last sentence you wrote the preceeding day. This prevents those cringing feelings, and means that you have a substantial body of work before you get down to the real work which is all in . . .
(Non guardate indietro fino a quando non avete scritto una bozza completa, semplicemente cominciate ogni giorno con l’ultima frase del giorno prima. Questo vi evita attacchi d’ansia e significa che avete un bel po’ di materiale prima di cominciare il lavoro vero, che è tutto nell’…)
2. …the editing.
…nell’editing.
ed è chiaro che intenda l’editing (anche) come un poderoso lavoro d’accetta. Addirittura lo presenta come “il lavoro vero”, e ci trova decisamente d’accordo. Perché? Perché la scrittura è selezione. Il nostro cervello immagina, non scrive, ed è abbondante, rigoglioso, ridondante. Provate a chiedere a chi pratica meditazione: far tacere la mente, o anche semplicemente concentrarsi su una sola immagine, tra le migliaia che si presentano spontaneamente quando il pensiero lavora in modo naturale, è un grandissimo casino. Ci si riesce solo dopo anni di pratica e una forte motivazione.
Ora, quando scrivete, voi fate prima un lavoro di immaginazione e lo fate a vari livelli: la storia intera, l’evento, le scene. Immaginate una scena e l’avete davanti ai vostri occhi, tanto che vedete tutto, sentite anche odori e sapori e probabilmente, se siete davvero dentro alla storia, provate anche sentimenti e sensazioni del vostro protagonista di quel momento. Se scrivete dal punto di vista del vostro personaggio preferito, siete probabilmente in una sorta di trance creativa: semplicemente non siete più nel vostro corpo ma lì, nell’Universo dove si sta svolgendo la vostra storia, e state vivendo un’esperienza multisensoriale. Se Mr. Protagonista mangia qualcosa di delizioso, a voi viene fisicamente l’acquolina in bocca.
Ora abbassate gli occhi.
Eccolo lì: lo schermo di Word. Il foglio bianco. Con cosa cominciate? Pensate una frase. Come scegliete la prima parola? Come ci mettete, su quel foglio, tutte le sensazioni e le emozioni che state provando? Dire che vi trovate davanti ad un collo di bottiglia è poco. Un imbuto, ancora meno. Un tritacarne? Già ci si avvicina di più: non volete perdere niente, dovete solo stringere e condensare in un medium bidimensionale il mondo che state vivendo in quel momento. È qualcosa di denso, ma ricco: è più che naturale che eccediate. Volete dire tutto, volete che il vostro lettore senta esattamente quello che avete sentito voi, senza perdersi niente. Il massimo sarebbe che riuscisse a vestire i panni del vostro Personaggio, ma temete che non ci riesca. Temete, scrivendo, di dimenticare qualcosa di fondamentale, e così spesso esagerate e dite troppo.
Il problema è che non sarà la quantità delle parole a rendere vero, per chi vi legge, il mondo che volete raccontare, ma la qualità, ovvero la parola giusta. Perché il vostro lettore farà il lavoro inverso: raccoglierà quella parola, o quelle parole messe proprio così, in quella particolare sequenza, e si lascerà suggerire il vostro mondo. Che ricostruirà grazie alla propria immaginazione, che è sua e solo sua. Rassegnatevi: difficile che senta esattamente quello che avete sentito voi, ma ci andrà molto vicino, tanto vicino quanto voi sarete andati vicino alla parola giusta.
Perciò opererete una o più selezioni, e lavorerete di taglio, perché nel pezzo ci saranno parole il cui peso non corrisponde a ciò che volete dire; ciò che avete “rigurgitato” lì per lì ha altissime probabilità di essere “troppo” e di fuorviare chi vi legge, invece di accompagnarlo sulla strada per il vostro mondo.
Tutto chiaro? Tagliate, quindi. Lavorate di cesello. Affinate. Cancellate la parola che sembrava giusta e riscrivetene una migliore. È qualcosa che sconfina nella poesia: c’è chi confonde la poesia con le sbrodolate, chi mette sullo stesso piano un M’illumino d’immenso e tre pagine di fiori rosa, bambini e fatine di primavera. Le parole sono pietre, diceva qualcuno. È vero: sono densissime, un concentrato d’immaginazione e se le usate bene non ve ne servono tante.
L’editing altro non è che il processo di “taglio” nella sua veste più raffinata. Ma può essere difficile e sgradevole. Fa parte del processo della creazione di una storia, ma molti lo odiano: è completamente diverso dalla fase creativa. Durante la prima stesura aggiungete, unite, sommate, espandete; mentre editate, invece, cercate ciò che non va per eliminarlo. Nella prima stesura si conosce l’estasi, the flow; durante l’editing, si cambia emisfero cerebrale. Si usa lo stesso emisfero, tanto per capirci, della dichiarazione dei redditi (sì, ho passato la domenica a fare il 730 e sono di pessimo umore). Nella prima stesura si insegue la bellezza, durante l’editing si va a caccia di schifezze. Le schifezze sono il vostro obiettivo. E se magari siete felici di averle trovate e sistemate, nello stesso momento andate in crisi. “No, ca**o. L’ho scritta davvero io, ‘sta roba?”
Ciò che si ha in mano dopo la prima stesura è grezzo, ed è solo dopo l’editing che diventa davvero una storia con la speranza di tenere un lettore incollato alla pagina. A meno che non siate dei geni e scriviate tutto perfetto al primo colpo; ma allora, che ci fate qua?
Coco Chanel consigliava alla signora elegante: quando sei completamente vestita e pronta per uscire, togli ancora cinque cose. Se ti addobbi come un albero di Natale non vedranno te, vedranno gli addobbi. Se hai scelto bene, vedranno una donna elegante. Qualcosa di bello, anche se non sei Miss Universo (ok, questo non so se lo diceva Coco ma il concetto è quello). Scommettiamo che Mademoiselle ne sapeva anche di scrittura creativa?
Note
- Gli altri articoli della serie sulle Regole della Scrittura li trovate qui (che è l’Introduzione, si spiega da dove vengono tutte queste regole) e anche qui, qui e qui.
- Io sarò pure fissata con gli autori americani, ma secondo me i libri da leggere prima di tutti gli altri per imparare a fare editing sono questi due: Self-Editing for Fiction Writers, di Renni Browne e Dave King, e Revision and Self Editing for Publication di James Scott Bell, che è una seconda edizione di un suo precedente bestseller sull’editing.
- Le traduzioni di servizio, senza pretese, sono mie.
- Questo articolo è apparso per la prima volta qui.