…dal 2013 ad oggi ho tenuto in sospeso un principio di romanzo: perché? Perché ho paura dei miei errori e il mio desiderio è pubblicare ed essere gradit*, per continuare a raccontare. Come posso superare questo ostacolo?
Questa frase è tratta da un’email alla quale ho promesso di dare riscontro sul blog. Spero con oggi di cominciare a mantenere la promessa. Premetto che non sono una professionista e sicuramente le mie risposte sono tutt’altro che perfette: faccio solo del mio meglio, in base alla mia passione e alle mia esperienze di lettura e scrittura.
A fine novembre sono stata provocata da Daniele con questo articolo sulla struttura. Che potevo fare se non accettare la sua proposta di scrivere un guest post?. L’articolo che leggete doveva essere un preambolo al mio guest post, invece – causa i miei tempi biblici di pubblicazione – è un post-ambolo, ma fa niente: l’argomento non invecchia mai.
Si diceva da Daniele che le storie dovrebbero seguire una struttura, o meglio: gli scrittori dovrebbero seguire una struttura quando mettono insieme una storia. Io non potrei essere più d’accordo.
Nel mio primo commento a caldo, mi sono permessa di prendere amorevolmente per i fondelli quanti confondono le strutture narrative con le regolette da applicare e/o prendono in giro quelli che “seguono le regole”. Costoro sono allergici già solo alla parola “struttura”, non sono sicura che perdano del tempo ad approfondirne il significato. Così vorrei usare un po’ del mio, di tempo, per illustrare il modo in cui, a mio parere, la riflessione sulla struttura può migliorare molto la qualità di un prodotto narrativo, lungo o breve che sia.
- La struttura non si “applica” perché non è una regola: esiste e basta.
È naturale, innata e oggettiva. Una storia è, o dovrebbe essere, una sequenza di cause ed effetti, su piani diversi; perfino un flusso di coscienza alla fine ha la sua logica.
Poi, tutti noi come esseri umani viviamo in una struttura in tre atti; abbiamo un inizio, uno svolgimento e una fine. Si nasce, si vive, si muore, può non piacerci ma è così, e le strutture tripartite sembrano congeniali al modo di pensare della razza umana. Dio Uno e Trino. La Sacra Famiglia: Madre, Padre e Figlio. Brahma, Shiva e Vishnu. Le tre Parche, le tre Grazie, l’Io l’Es e il Super Io. Devo continuare?
2. La struttura narrativa è in atto quando succede qualcosa. Qualsiasi cosa.
Diversamente, la storia non è; magari si tratta di un bel documentario ma non è né un romanzo né un film né un altro prodotto narrativo. Anche se, comunque, ora si tende a infilare storytelling dappertutto (chissà perché, eh?) e quindi anche i documentari diventano storie ogni volta che è possibile.
Un piccolo caribù trotterella nella steppa dietro alla madre (setup, primo atto, mondo originale…), resta indietro (problema! Conflitto!), un branco di lupi se ne accorge (escalation!) Riuscirà il piccolo caribù a sfuggire ai lupi affamati? (domanda narrativa principale, tema, cuore della storia) Fiuuuu, meno male, per questa volta ce l’ha fatta (terzo atto, risoluzione del conflitto).
Ovunque succeda qualcosa, c’è uno stato iniziale, un movimento che rompe l’equilibro, un nuovo equilibrio. Leggi della Fisica. Mondo normale, conflitto, risoluzione del conflitto: ecco una storia.
Mi è successo non molto tempo fa di dire, a una cara persona che mi fece leggere un suo racconto, “questo non è un racconto”. “Perché?” “Perché non succede niente. Poni delle premesse, descrivi una situazione ma non succede niente. Al massimo è un primo capitolo. Un’introduzione. A me serve una storia.”
3. La struttura non è nemica degli scrittori, è la loro migliore amica.
Davvero mi sfugge come si possa lavorare ad un’opera complessa, diciamo dalle 50.000 parole in su, senza avere un piano. Un’idea generale di struttura serve – dovrebbe servire – anche per un racconto, anzi, serve a maggior ragione per la narrativa breve, che deve creare interesse, far salire la tensione e risolverla con poche parole. E in più, lasciarti anche con un po’ di nostalgia per il mondo che è stato raccontato.
Si può e si dovrebbe riflettere anche sulla struttura di una scena: il solito Randy, quello del Fiocco di Neve, ha scritto un interessante articolo in proposito, che prima o poi forse tradurrò. A fronte di scrittori che ragionano per scene, vi sono anche editor che lavorano principalmente sulle scene e le tagliano senza pietà quando sono senza scopo nell’economia della narrazione. Sì, avete indovinato: via, zac, anche se sono “bellissime”.
Come sottolinea anche Daniele nel suo articolo, non solo la struttura non imbriglia la creatività ma l’aiuta e la stimola; quanto meno aiuta ad accertarsi che siano presenti, oltre ad abbellimenti e orpelli, anche gli ingredienti fondamentali della narrazione. Lo sappiamo tutti che ci sono storie senza una premessa, carenti di ambientazione – che sembrano vivere in una provetta; o storie senza conclusione, che ti fanno venir voglia di lanciare il libro contro il muro, o portarlo in bagno e destinarlo a più utili scopi.
Eh, che banalità che dico. Lo sanno tutti che in una storia ci deve essere un conflitto, vero? In teoria, sì. In pratica, no. Fidatevi.
4. Conoscere la struttura significa essere consapevoli delle fasi emotive della narrazione.
La struttura di base offre al narratore uno strumento eccezionale per la gestione della tensione. E questo, in ultima analisi, serve ad offrire al lettore un’esperienza emotiva intensa e soddisfacente.
A casa di Daniele mi sono dilungata sul momento centrale, il Midpoint: ma ogni momento della narrazione meriterebbe di essere analizzato con montagne di esempi e compreso a fondo.
5. La conoscenza della struttura può trasformare uno scribacchino in un narratore.
La struttura viene prima di tutto; stiamo parlando di qualcosa che, nella stratificazione di una storia, precede di molto l’uso elegante, originale, appropriato delle parole. L’uso della lingua entra nello scrittore per osmosi a partire dalla più tenera età, quando mamma e papà ti leggono una storia prima di fare la nanna, e si affina in tenera età leggendo tantissimo. Recuperare dopo, a parte casi rarissimi e stili particolari, è un’impresa titanica. E spiegare l’uso della lingua non si può, è come cercare di illustrare a un alieno il concetto di destra e sinistra. Lavorare sulla struttura è enormemente più facile e dà risultati più immediati e soddisfacenti; perché un ottimo storytelling si fa perdonare un sacco di magagne stilistiche.
6. Imparare la struttura si può. E si dovrebbe fare come prima cosa.
Pare che il sapere narratologico italiano sia riservato a un’élite che si esprime per geroglifici; se un povero cristiano qualsiasi ne vuole capire qualcosa, sono problemi suoi. Non metto in dubbio che esistano buoni testi italiani (Eco e Calvino, che guarda caso nel mondo anglosassone non si sono trovati troppo male…) ma confrontate qualcosa di più recente con i libri di McKee, Truby, Syd Field, Lajos Egri o il divertente “Save the Cat” di Blake Snyder, e poi fatemi sapere. Alcuni titoli interessanti sono stati tradotti in italiano da Dino Audino Editore e no, non prendo nessuna commissione per questa segnalazione, parlo di chi mi pare e soprattutto piace.
Se qualcuno desidera approfondire, a suo tempo ho pubblicato qui un elenco di cinque libri da leggere per incominciare. Secondo me quella lista è ancora attuale, anche se per nulla esaustiva: mi sono imposta di segnalare cinque libri, e di immaginare che il lettore non avesse mai letto prima un libro sulla struttura. Prima o poi creerò qui nel blog una lista di titoli e risorse, quindi se avete segnalazioni da fare ben vengano.
E io? Uso la struttura quando penso a una storia? Nella foto – orribile perché non è una foto, è un fotogramma di un video – si vede la prima metà della storyboard di “Buck”. Ogni post-it una scena, un colore diverso per ogni personaggio. La mostravo durante una presentazione per rispondere alla domanda di una lettrice.
E voi? Avete mai provato ad analizzare le vostre storie in termini di struttura?
Analizza la struttura della tua storia con il supporto di una storyboard
P.L. Cartia dice
Mi è capitato di iniziare a leggere romanzi bellissimi (come ambientazione, personaggi, ecc.), e di abbandonarli a un certo punto per noia.
Viceversa, ci sono stati romanzi/film/serie tv che, nonostante la banalità di personaggi e situazioni, riuscivano a mantenere vivo l’interesse (soprattutto, direi, i film e le serie tv, perché le sceneggiature non possono “sgarrare” sulla struttura).
La struttura è intessuta nel nostro stesso modo di pensare.
MI viene sempre in mente l’esempio di Star Wars (episodio IV), costruito sulla struttura del “viaggio dell’eroe”, che nonostante i cliché continua ad essere apprezzato perfino dalle nuove generazioni.
Barbara dice
Che dietro ad ogni storia ci debba essere una struttura io l’ho imparato…con i telefilm degli anni ’80 (Cosa resterà degli anni ’80? I telefilm!)
Supercar, A-Team, Hazzard (e cito questi perché d’azione, dove il riconoscimento della struttura è più facile) avevano sempre una suddivisione standard: l’inizio, i primi 10 minuti del “dove siamo”; svolgimento, i successivi 40 minuti con aumento di tensione costante fino all’esplodere del conflitto (in A-Team quando si ritrovano chiusi/nascosti/intrappolati da qualche parte con pochi mezzi per organizzare l’imboscata finale); finale, 10 minuti di inseguimento del cattivo, sparatorie spettacolari e salti dei fossi. Non c’è un puntata che non abbia questo severissimo timer. 😉
Maria Teresa Steri dice
Ottime riflessioni, su cui sono più che d’accordo! La struttura è prioritaria anche per me, peccato non averlo capito fin da subito, e invece ho sprecato molti anni e parole. Comunque sia, ho una curiosità: come hai creato la storyboard che si vede nell’immagine? Io sto lavorando a uno schema sul mio attuale romanzo, però non ho trovato altro modo che mettere gli eventi in un ordine cronologico, anche se nella storia l’intreccio non segue lo stesso ordine. Non sono soddisfatta, però, e mi piacerebbe trovare un metodo migliore per intrecciare i fatti, in modo da ragionarci su.
Serena dice
Appena riesco mando un piccolo omaggio alla mia lista email, quindi lo riceverai anche tu e magari potrà esserti utile.
Le mie storyboard le creo dopo aver seguito qualche corso e letto qualche libro, e sto quasi pensando che sia la parte più emozionante della creazione di una storia.
Poi… una volta che hai chiara la fabula, puoi giocare come vuoi con l’intreccio 🙂
(io sono piuttosto lineare, non so se sarei in grado di creare un intreccio complicato, come quello di un thriller per esempio!)
Grazia Gironella dice
Ero rimasta un po’ spiazzata sul “la struttura non si “applica” perché non è una regola: esiste e basta”. Sta a vedere che deve nascere in modo naturale o niente! Poi ho letto il resto e ho capito. In effetti la struttura non può essere un’aggiunta posticcia, ma deve fare parte dell’elaborazione della storia, nella testa dell’autore prima che sulla pagina. Qiesto è un fronte che mi interessa molto perché, nonostante abbia letto tanti testi di scrittura creativa, non trovo affatto naturale strutturare la storia in modo non banale. Non sono invece d’accordo sul fatto che in un racconto debba per forza succedere qualcosa, anche se so che molti la pensano come te. Ricorso che nel mio periodo di partecipazione ai forum capitò che un mio racconto fosse criticato proprio per questo motivo. In quel momento incassai la critica e cercai di scrivere ministorie anziché quadretti di vita, ma sai cosa? Secondo me il movimento della storia può anche essere interiore e non esteriore. Certo se scrivi di un personaggio che rimugina sul suo ombelico, senza un gesto, senza una battuta di dialogo, è una staticità mortale; ma in condizioni migliori, anche senza una minitrama il racconto si regge. Il romanzo no.
Serena dice
Il viaggio interiore può essere molto, molto più tumultuoso di un movimento fisico! Quindi non c’è contraddizione in ciò che diciamo 🙂 Se ti va, mandami il racconto che è stato criticato, sono curiosa. Un bacione 🙂
Grazia Gironella dice
Appena trovo il racconto/non-racconto te lo mando (è stato credo il mio primo proposto in rete). Giusto per curiosità, non per il suo eccelso valore! Prendo l’occasione per ringraziarti della storyboard ricevuta via newsletter. Credo che la ricorderò nel mio prossimo post. 🙂
Maria Teresa Steri dice
Io non ho ricevuto niente… 🙁
Spero che non sia finita nello spam e cancellata per sbaglio. Però mi pare strano perché di solito le tue newsletter mi arrivano regolarmente.
silvia dice
Come non essere d’accordo? Dovrei stamparmi questo post e incollarmelo di fianco al video del pc, oppure mangiarmi il foglio e sperare che mi resti in testa in automatico.
Mentre leggevo, mi è venuto in mente che la stessa struttura esiste anche nella musica, dall’opera alla musica classica fino alle semplici canzoni. Credo che sia un percorso inevitabile e che non ingabbia per niente la narrazione, anzi la rende molto più fluida e fruibile.
Per esempio, da quando ho iniziato a fare attenzione a queste cose ho notato che il mio modo di scrivere si è concentrato di più su ciò che accade e molto meno su ciò che penso io di ciò che accade, con il risultato che, oltretutto, annoia di meno. Almeno spero…
In ogni caso sono temi che mi interessano molto e che vorrei approfondire. Seguendo i tuoi consigli, ho già messo Story di R. McKee nel Kindle, ora tocca solo leggerlo. 😉
Serena dice
Story è un simpatico mattoncino, ma vale la pena fare lo sforzo di leggerlo! Molti riprendono i concetti di Mckee.
E ovviamente sono d’accordo su tutto 😀
Daniele dice
Sullo storytelling di cui si straparla oggi nel web ce ne sarebbe da dire parecchio… il fatto è che quasi il 99% di ciò che chiamano storytelling è solo spot pubblicitari.
“Mi è successo non molto tempo fa di dire, a una cara persona che mi fece leggere un suo racconto, “questo non è un racconto”.” La stessa cosa che ho scritto io nel mio post che uscirà il 9 😀
Ovviamente sono d’accordo e tendo da un po’ a usare la struttura, che è migliorata dopo il tuo post sul midpoint.
Nel mio romanzo, di cui hai letto la trama, c’è una struttura che vorrei ancora migliorare.
Serena dice
Potresti pasticciare sulla cosa che ti ho mandato 😉
Ci sentiamo presto, questa settimana ero un po’ nelle curve.