Pubblico, non pubblico, come pubblico, quando pubblico. Faccio marketing o non lo faccio, e come lo faccio? È meglio il self publishing, è meglio un editore, lo metto su Internet, lo metto sul blog.
Qual è la tua definizione di successo? Perché la chiave sta tutta lì.
Fermi un attimo e ragioniamo.
La prima cosa che serve è un buona storia. Se non hai una buona storia, tutte queste domande hanno poco senso. E come fai a sapere se hai una buona storia? Prima di tutto ne devi finire una.
Il buon marketing editoriale comincia molto prima di avere pubblicato, è vero, ma intanto questa benedetta storia va finita. In quanti siete che cominciate, cominciate e non finite mai?
Io credevo che avrei finito per ottobre, poi per dicembre. Invece non ho ancora finito, perché il mio editor mi ha sacagnato così duramente che lei – la storia – ed io ci stiamo curando i lividi. Mi dicono dalla regia che il primo editing è parecchio doloroso, ma mi si dice anche che si impara moltissimo – per fortuna – e che vale la pena spenderci i soldi che spenderesti per un corso di scrittura. Addirittura. E io ci credo, oh se ci credo. Ciò non toglie che faccia male, ve lo assicuro. Forse avete notato che ci sono meno in giro, non solo sul blog ma in generale; è perché ho l’ego dolente. In questo momento mi sento incapace di insegnare la qualunque a chiunque; sono in piena sindrome dell’impostore, e hai voglia tu, amico premuroso, a ripetermi che sono brava e che ho fatto questo e quell’altro: mi sento comunque una cacchetta. Passerà. Spero.
Che si diceva? Ah, sì: prima di tutto finire.
Subito dopo aver finito, bisogna vedere se la storia è abbastanza buona. Oddio, puoi anche pubblicare una ciofeca sgrammaticata; io sono la prima a difendere il tuo diritto di pubblicare dove, come e quando ti pare. Non ci sarebbe nemmeno bisogno di dirlo, ma lo dico, visti i rant contro il self publishing – alcuni al limite dello psicopatico – che continuo a leggere in giro.
Mettiamo però che t’interessi raccontare delle belle storie, magari anche in un italiano corretto e con uno stile accettabile. In questo caso, quando la storia è finita non devi farla leggere solo alla mamma e alle tre amiche che ti seguono su EFP, e che saranno sempre incoraggianti con te. Ti serve come minimo un paio di occhi diversi dai tuoi, ma meglio se sono di più, e questo è un punto fondamentale. Troppe volte ho sentito dire “ma io devo essere in grado di sistemare la mia storia”. No, ciccio. Se la pensi così, un po’ pecchi di presunzione e un po’ pare tu viva su Marte. Non hai mai sentito dire “Ogni scarrafone è bell’a mamma soia”? Senza contare la nausea. Perché se hai preso in mano il tuo romanzo dall’inizio alla fine almeno un paio di volte, che è il minimo sindacale, la nausea ce l’hai. Così forte che il Plasil ti fa un baffo.
Almeno un paio di quegli occhi in più, poi, deve essere professionale. Deve appartenere a qualcuno che ti sappia dire, in linea di massima, se la storia funziona. Per storia funzionante intendiamo una storia con un conflitto centrale interessante, ben costruito, ben svolto, ben risolto; e questo è – ancora – proprio il minimo sindacale. Poi c’è tutto il resto ma fermiamoci qui, per il momento.
Fatti i primi due passaggi? Ecco, allora adesso puoi decidere la cosa più importante: che cosa vuoi per la tua storia. E, prima ancora, che cosa vuoi per te stesso.
Prenditi un pomeriggio tranquillo, se te lo puoi permettere. O se no prenditi un’ora di libertà. Poi un quaderno e una biro, o apri una mappa mentale sul PC. Attenzione che quel che ti sto per dire è pericoloso: se non sei abituato a un po’ d’introspezione, potresti finire a scrivere I Massimi Sistemi Secondo Me, volume I. Non farlo, cerca di concentrarti su, diciamo, i prossimi cinque anni.
Cosa vuoi dalla tua scrittura nei prossimi cinque anni?
Le risposte possibili sono molteplici.
“Scrivo per divertirmi e voglio continuare così”
“Voglio essere letto e non m’importa d’altro”
“Voglio vivere di scrittura e mollare il mio lavoro di raddrizzatore di gambe dei cani”
“Voglio diventare uno scrittore professionista”
“Voglio fare soldi con i miei libri”
“Voglio che qualcuno mi chieda di poter fare un film con la mia storia”.
Che cosa è il successo, per te?
Scriviti una risposta onesta e fai attenzione: deve essere una risposta concreta. Dopodiché hai un ottimo punto di partenza per farti un piano per il futuro. Piano che dovrebbe tenere conto dei dati di realtà; mi puoi anche venire a dire che “è meglio la pubblicazione tradizionale”, ma se poi non trovi un cane che ti pubblichi, la tua preferenza te la puoi mettere in tasca. E, attenzione: non è detto che se non trovi un cane che ti pubblichi la tua storia faccia schifo, né che le tue storie tradizionalmente pubblicate non mi facciano sbadigliare fino a slogarmi la mascella. Il bello dell’editoria tradizionale è anche questo: che due professionisti ben pagati possano darti due pareri diametralmente opposti. Sulla stessa storia. Successo davvero, non me lo sono inventato. Può anche darsi, poi, che la tua Storia Tradizionalmente Pubblicata mi costringa a impugnare la penna rossa per segnarti tutte le cazzate, grammaticali e non, che sono sfuggite al tuo Grande Editore Tradizionale.
Ciò che vogliamo davvero deve guidare le nostre scelte; si tratta in primo luogo di assumersi delle responsabilità. Se siamo disposti a fare ciò che è necessario per tutto il tempo che ci vuole, non c’è (quasi) nulla che non possiamo fare.
(Eh ma l’editing costa. Comincia a smettere di fumare: vedi quanti soldi in più che ti ritrovi in tasca, e cuore e polmoni ringraziano, pure. Poi invece di comprarti la borsetta firmata cucita in India dai bambini, mettiti via quei quattrocento euro; ti fai almeno la scheda lettura, senza problemi.)
La scrittura rientra tra le cose mediamente possibili, per fortuna. Io non credo di avere molte possibilità di diventare prima ballerina alla Scala, ma di essere una scrittrice sì. In un certo senso, lo sono già.
Questo post è il mio commento a questo articolo di Daniele, e in parte risponde anche al post pubblicato oggi, sempre su Penna Blu. Non avevo un cavolo di voglia di ripetere sempre le solite cose, ma poi ho promesso che sarei passata di là o che almeno avrei scritto una risposta, quindi eccomi.
Ancora una cosa: mi rendo conto di quanto sia importante smettere di chiamare self publishing il self publishing. Bisogna chiamarlo pubblicazione indipendente. Bisogna definirsi autori indipendenti, o Indie se vi piace di più. E cambiare mentalità. Ma di questo parleremo ancora.
carolina venturini dice
Cara Serena,
scopro con ammirazione questo blog e i tuoi contenuti. Facciamo lo stesso lavoro! Ad averlo saputo al Malamute Day, avrei fatto quattro chiacchiere insieme a te molto volentieri! E’ sempre bello scoprire come uno stesso tema può essere approcciato con stili diversi!
Ti auguro una buona giornata!
Carolina
Serena dice
Ciao Carolina, grazie per avere ricambiato la visita così presto. Sarà bello leggerci, allora, anche se in realtà io sui miei blog non pubblico molto spesso. Un bacione e buona giornata A presto!
Alessia Savi dice
Volevo davvero leggere tutti i commenti ma non riesco T.T
Per cui scusatemi se dirò cose già dette.
Molto semplicemente l’autore indie investe su sé stesso.
Se conosco marketing, web design e un uso avanzato di Photoshop diciamo che posso tagliare parecchi costi. Detto ciò, per cover professionali mi affiderei a terzi ugualmente e lavorerei da indie solo per racconti brevi. Non riuscirei a dare il massimo della professionalità.
E così funziona per la scrittura: imparare come si fa un editing, la struttura di una storia… Si studia. La differenza tra indie è self è lo sbattimento oltre la scrittura.
Come lo si scegloe un buon autore self? Al passaparola, proprio come per i romanzi delle grandi CE. Che per me non significa leggere le recensioni online ma andare a chiedere a chi conosco e ha i miei stessi gusti se l’ha letto e cosa ne pensa.
Il segreto del successo sta nell’avere sempre chiaro l’obiettivo e lavorare per tappe intermedie.
Letto anche l’articolo di Daniele sui costi, ma credo abbia già risposto a dovere Carla: scambio di professionalità.
Daniele dice
I pareri diametralmente opposti possono darteli anche due editor che contatti per conto tuo.
E anche molte storie pubblicate in self fanno sbadigliare o inorridire.
Di tutti questi discorsi io non sopporto chi si scaglia contro il self a priori e contro l’editoria tradizionale a priori. Gli estremismi, insomma.
Entrambe le forme di pubblicazione hanno pro e contro.
Sono d’accordo che oggi molti spendano parecchi soldi in futilità, come cellulari da 800 euro, quando ne bastano 150, sigarette e canne, abbonamenti a canali TV e altro. Elimina queste scemenze e vedrai quanti soldi ti ritrovi a fine anno da investire per qualcosa di concreto.
Serena dice
D’accordissimo che le due possibilità non siano opposte e possano coesistere. Un autore in gamba, secondo me, è quello che le sa sfruttare entrambe a proprio vantaggio. Poi per alcuni casi la pubblicazione indipendente è l’unica strada percorribile, o l’ultima spiaggia che dir si voglia. Ma insomma, come dicevo in tutto il post, ognuno faccia i conti con i suoi obiettivi e faccia il cavolo che vuole XD A me non dà fastidio nessuno 🙂 Mi danno un pochino fastidio, ma poco poco e col sorriso sulle labbra, quelli che pensano di avere ai propri piedi tutte le alternative possibili, perché il mercato sta aspettando soltanto loro XD
Grazia Gironella dice
Finire quello che si inizia è fondamentale, hai ragione. Senza quello, il resto perde significato. Ma aggiungerei: iniziare e finire non solo un lavoro, ma tanti. D’accordo che non sforniamo romanzi a ritmo di samba, ma secondo me è fuorviante focalizzare troppo l’attenzione sul primo lavoro. Si rischia di concentrarsi su strategie e manovre autopromozionali, quando servirebbero solo il tempo e l’impegno per migliorare. E’ una questione di ottica più che di azioni, se vuoi, ma la trovo importante. Certo, a chi non piace pensare di fare centro al primo colpo? Sul “realize their potential through the freedom of publication”, invece, non sono d’accordo. Il self-publishing esiste? Bene. Chiunque può pubblicare? Bene, è possibile. Che questo sia un modo per testare il proprio potenziale lo trovo una forzatura. (Conto che ti risolleverai alla grande, e avrai della scrittura una visione ancora più chiara! :))
Serena dice
Hai ragione, in tanti dicono di non essere ossessionati dal primo lavoro. In realtà Cristallo non è la prima cosa che scrivo, è la prima che uscirà con il mio nome. Perfino la mia editor cattivissima mi “tiene buona” la roba che ho scritto finora. Il problema è che in ogni caso io l’ho fatta facile e ci ho sbattuto il muso.
Alla promozione purtroppo bisogna pensare prima, alla presenza online e a tutte quelle cose lì. Ci deve – dovrebbe – essere qualcuno che ti legge quando sei finalmente pronto, e a me pare anche elementare buon senso. Perché dici che non si può testare il proprio potenziale con una pubblicazione indipendente? Quando hai qualcosa di tuo nel mondo, con un sufficiente numero di lettori, mi pare un bel test 🙂 Oppure non ho capito cosa intendi dire?
Comunque sto un po’ meglio. In realtà mi viene da scrivere qualcosa ogni giorno, ma sono davvero esausta. Prova a sederti a scrivere la sera, cotta come una pizza, con un umano che ti chiama tipo ogni dieci minuti. Che dorme poco, da sempre, e tiene duro fino a ore da adulti. Quando lui finalmente dorme, io cado sulla tastiera.
Ho visto il tuo ultimo post sul blogging e avrei una lunga e articolata risposta da darti, ma se riesco ci scrivo su un post. Alcune cose però è da un pochino che te le butto lì, eh 😛
Lisa Agosti dice
Articolo interessante, io purtroppo mi fermo al “devi riuscire a finire la storia”.
Poi penserò al resto 😀
Gas dice
Sono un po’ stanco di leggere commenti e opinioni di chi non si mette in gioco.
Avete scelto la via dello stipendio sicuro? Bravi. Questo è altro.
Pubblicare è un diritto? Si, da quando esiste la possibilità di esercitare un’opzione.
Prima tale opzione era relegata alle esigenze di un terzo soggetto. Ora dalla propria volontà di farlo.
Quando scrivevo a 20 anni, con la macchina, o elemosinavo attenzione o nulla. Ora i mezzi mi consentono di essere letto. E me lo merito. A prescindere da quel che pensa Sellerio di me.
E i soldi? E i clienti? E se un hipster non mi compra? Cavolo, se era per denaro investivo sul mattone. Avete di sicuro lavori normali. Beh, quello vi darà tutto il gruzzolo che vi serve per i vostri iPad e creme esfolianti.
Proust, Hugo, Conrad, Pirandello, Nabokov, DeLuca, Baricco, Brizzi: volete altri nomi di autori che PRIMA hanno diffuso e poi sono stati opzionati da un editore, che di voi ignoti non se ne fa di nulla? A prescindere da quanto bene scriviate? Vi passano davanti giornalisti, comici, rapper, politici e amici degli amici.
Come disse DeLuca al Festival della Letteratura: “stampati le tue copie e dalle a chi sai che ti apprezzerà, oggi puoi farlo”. Non ci sono i puntini che unisci e compare la figura dello scrittore. Non è una carriera scolastica e un editore non ti pubblica solo perché sei tanto bravo, non è il professore che deve darti il voto alto. Scrittori ci si trova ad essere perché lo si fa, non perché qualcuno ci dice che lo siamo, appendendo l’attestato in cameretta. Nessuno ti amerà di più, non arriveranno gli angeli a stringerti la mano, non ti sentirai migliore perché ti pubblicano: ci sarà soltanto un’altra pagina bianca da riempire. Così come per un idraulico ci sarà un altro rubinetto da avvitare.
Non sono libri indie? Articoli su quotidiani, show, screenplay, sceneggiature per comics. Ci sono milioni di modi di far vivere le proprie idee e se poi arriva il signor investitore, si parla di quattrini. Non di quanti ne elemosinate, ma di quanti ne concedete voi a lui.
Mettetevi in gioco, come dice Serena, e nella strada più congeniale al tipo di opere prodotte. Le chiacchiere stanno a zero, le opinioni ancora di meno.
Serena dice
Grazie, Gas . Io a volte mi sforzo di essere razionale e metto a tacere la passione, ma alla fine quella è il motore di tutto.
Ci sono delle cose che hai scritto qui che si meritano un articolo, appena riesco.
Hai anche tu il libretto di De Luca dei tentativi di scoraggiamento?
Andrea Cabassi dice
Sono d’accordo quasi su tutto, tranne sul definire indie gli autori che scelgono il selfpublishing. Certo, all’orecchio suona meglio, ma concettualmente è sbagliato o – meglio – non completamente corretto: indie è l’insieme delle opere artistiche prodotte al di fuori dalle grandi case editrici/discografiche/ecc. quindi anche tutti gli autori pubblicati da piccole realtà editoriali sono indie.
Serena dice
Sì, hai ragione. Possiamo dire che è Indie, indipendente, chi sceglie di mantenere il controllo sulla propria produzione artistica, mantenendo alti standard qualitativi? Non sto provocando, eh, chiedo. Voglio una bella definizione, che poi mi possa tenere e utilizzare. Suggeritemi.
Gas dice
No, sbagli.
In quel caso si parla di etichetta indipendente. Sellerio è un editore indipendente (in quanto non fa parte di un gruppo editoriale), ma chi pubblica con Sellerio firma un contratto vincolante. E le opere quanto gli autori sotto contratto non sono indipendenti.
Io sono indie: non ho contratti vincolanti. Di fatto, a un certo reddito, dovrei aprire partita IVA come impresa personale. Sono, di fatto, etichetta editoriale di me stesso. Indipendente da un gruppo editoriale.
Non è indie chi si affida a servizi ibiridi (come Nativi Digitali).
Serena dice
Gas duro e puro. Mi piace, ma forse esiste una terza via: un autore ibrido che, potendosi permettere di contrattare, utilizza le case editrici invece che esserne utilizzato. Quando trova un accordo soddisfacente. Per fare l’esempio di una che conosciamo bene, Joanna Penn per le traduzioni della sua narrativa ha firmato con delle CE tradizionali. Perché le conveniva così.
Andrea Cabassi dice
http://www.warfare.it/img/storie_img/mappa_compagnia_indie.jpg
Tenar dice
Non sono del tutto convinta che pubblicare sia un diritto. Scrivere sicuramente, voler farsi leggere, altrettanto sicuramente, ma pubblicare è un diritto? Non è un diritto esporre in galleria d’arte, né ballare in un corpo di ballo professionale. Non è un diritto mettere un prezzo alle nostre storie e far pagare perché siano lette. Che si scelga l’editoria tradizionale o il self (su cui ho molti dubbi personali, ma che non demonizzo affatto), quando si mette in vendita qualcosa si fa un bell’atto di orgoglio. Bisogna che ne valga la pena, non per noi, ma per chi paga e quindi ha diritto al miglior prodotto possibile, poco importa che sia un panino, un maglione o una storia.
Quindi ben venga editing e professionalità. Ben venga la cura del testo.
Però (e, sia chiaro, non mi riferisco a te, Serena) non credo che sia un diritto pubblicare. Penso che un bravo editor debba anche saper dire a un aspirante autore self: guarda, lascia perdere e dedicati ad altro.
Serena dice
Uhm. Gli esempi non mi convincono. La galleria d’arte te la puoi affittare, credo. Uno che dipinge è libero di esporre le sue croste anche per strada, se vuole, pagando una tassa al Comune o anche gratuitamente, in occasione di certe manifestazioni. Io non mi sognerei mai e poi mai di andare da uno e dirgli “Guarda, sei un imbrattatele. Non permetterti di esporre, sai? La tua roba non è abbastanza bella”. Oltretutto, rischierei anche di essere smentita un attimo dopo, se arrivasse qualcuno subito dopo di me, che ha visto chissà cosa in una di quelle tele e se l’è comprata.
Invece, nel caso del corpo di ballo esiste un criterio oggettivo per stabilire se uno può farne parte o no. Sai fare l’arabesque, la pirouette, lo jambé, la spaccata? No? Eh, ciccio, allora mi dispiace ma non se ne parla. Li sai fare, ma non tanto bene? Idem. Eccetera.
Perché non sarebbe un diritto mettere un prezzo a una storia e provare a venderla? Mica vai in giro a puntare un fucile contro qualcuno obbligandolo a comprare, eh. In un paese libero si può vendere e comprare. E se anche fosse un atto d’orgoglio? C’è una legge che vieta gli atti di orgoglio a mezzo scrittura? Giuro che non capisco XD A me, oltretutto, che qualcuno sia abbastanza fiero di una sua creazione non sembra una brutta cosa: buon per lui o lei, la vita è così scarsa di gioie… E guarda che a me vengono i brividi quando leggo certa roba: a volte provo addirittura vergogna per conto dell’autore, perché mi rendo conto che davanti ad occhi allenati fa una pessima figura. Ma contento lui/lei…
Lascia che, a decidere se ne vale la pena o no, sia colui che paga. Io acquirente, lettore, cliente, chiamami come vuoi, posso decidere che per me qualcosa, che sia un panino, un maglione o una storia, sia sufficientemente buono e valga i soldi che mi vengono chiesti in cambio. Non ho neanche bisogno di essere tutelato, grazie: decido io. Ho i mezzi per farlo, soprattutto al giorno d’oggi.
Sono invece completamente d’accordo sul fatto che la scrittura non sia il mezzo espressivo di tutti. Che esistano persone che non miglioreranno mai, perché non ci sono portate, perché non hanno letto da piccoli, perché perché perché. E sarebbe pietoso dire loro che potrebbero provare qualcosa di diverso dalla scrittura, e magari riuscirebbero meglio. Ma magari mi risponderebbero “fatti i cazzi tuoi, che a me piace scrivere”. E allora che risponderei? Poi magari scrivono romance e hanno centinaia di fan scatenati che vivono in attesa del loro nuovo libro. E uno non sa più cosa dire.
Sandra dice
Io non sono molto lucida su niente, credo che farò un post, in settimana, perchè la sportellata in faccia è stata tremenda e sto ancora capendo come muovermi, però capisco Serena e pure Michele, perchè tutti abbiamo voglia e bisogno di credere che essere autore indie possa essere la soluzione senza rimetterci un capitale e troppe ore di sonno.
Abbraccio a tutti
Serena dice
Direi che in questo momento l’unica cosa di cui ho bisogno è finire il romanzo, e magari in modo soddisfacente, per potermi guardare allo specchio con un po’ di orgoglio. Poi, essere un autore Indie è una soluzione solo se è quello che desideri essere, se no è solo uno stress. A me calza a pennello, credo, per come sono fatta io.
Michele Scarparo dice
In questi giorni il self dev’essere di moda. 🙂
C’è un grande spartiacque che andrebbe evidenziato: quello che divide il self dagli indie, o imprendautori o come diavolo si vogliano (o siano) chiamati. Un conto è ascoltare uno che se la suona e se la canta, un altro ascoltare qualcuno che ha investito del proprio per fare un prodotto degno di questo nome, credendo di essere abbastanza bravo da riuscire a venderlo.
La cosa brutta? Questo spartiacque non è evidenziabile. Se io trovo per la strada qualcuno che mi vende un vasetto di marmellata per pochi spiccioli (o anche gratis) non mi fido e non la prendo. Se trovo un piccolo negozietto artigianale, che si fa la marmellata “in casa”, sì. La differenza è nel contorno: mi fido del contorno e sono disposto a pagare. Con i libri non è così: da un ebook non posso capire quanto “contorno” ci sia. E non mi dite di leggere un estratto, ché equivale a mangiarsi quattro o cinque cucchiaiate. E se mi viene mal di pancia, dopo? 🙂
È davvero un peccato che non si riesca a risolvere il problema, perché finirà che butteremo via il bimbo con l’acqua sporca, come si dice…
Marco Amato dice
Ciao Michele, scusa se rispondo io, ma visto che sto tornando, presto rifaccio salto anche da te. 😉
Il punto sul self non è questo secondo me. Questo è un punto apparente.
Immagino che avrai visto il film The Martian, e converrai che tratto da un romanzo la cui roba è da self, sia una cosa più che egregia.
Negli Stati Uniti il mercato del Self Publishing su Amazon, ovvero uno che detiene più del 50% delle vendite Usa, supera quello delle Big Five.
Autori come Howey, AG Riddle, sono diventati milionari. Tantissimi altri traggono reddito e successo dal self. Cioè se funziona in America, perché non potrebbe funzionare pure da noi?
Anche da noi si incomincia a intravedere qualcosa.
Il punto chiave è quello che dice Serena. La differenza abissale tra Self publishing e autore indipendente. E’ un salto di classe, di categoria.
Il tuo quesito, ovvero lo spartiacque, fra l’autore scarso e quello bravo, si differisce per inerzia, per risonanza di mercato.
E’ lo stesso meccanismo che già accade nell’editoria tradizionale.
Mettiamo due autori esordienti. Uno, X, con Mondadori e uno, Y, con Guanda. Tu chi scegli?
Mi dirai boh, nessuno, se non conosci né l’uno, né l’altro. E vale poco dire, va beh se lo pubblica Mondadori sarà bravo.
Nessuno sceglie un autore da leggere per l’editore. Si sceglie un autore da leggere per il libro. Se la trama ci intriga. Scegliamo l’autore se un amico lo consiglia, se ne sentiamo parlare nel web, se tra le recensioni vediamo commenti positivi.
Lo stesso avviene nel self publishing. L’autore bravo non lo devi andare a cercare con il lanternino. Dici toh, oggi mi scorro 100 autori self vediamo se ne trovo uno con il quale posso rischiare. Ma lo scopri e compri perché ne senti parlare.
Maria Teresa Steri ha pubblicato il suo romanzo e molti di noi che frequentiamo il suo blog lo abbiamo comprato. Perché? Perché è una blogger stimabile, che mostra talento e buone prospettive. Ma se mi capitava il pinco o il pallino, col cavolo che lo compravo l’ebook.
Il fatto che pubblichino centinaia, migliaia di autori self scarsi, scarsissimi, che importa. Contano quelli bravi che si fanno strada.
L’editore diventa solo un ammennicolo.
Io lo concepisco come un parassita del vecchio sistema. Il sistema editoriale è largamente imperfetto. Vedi le vicende di Sandra.
Scrittoracci che vengono pubblicati con onori e poi libri potenzialmente validi che ricevono sportellate in faccia.
Esiste un’alternativa all’editoria tradizionale data dai tempi moderni. Tutto qui.
Michele Scarparo dice
Stiamo dicendo le stesse cose, più o meno. Tu ti fidi del passaparola: per te lo spartiacque è lì. È una strategia, tra le diverse possibili. A me piacerebbe anche qualcosa di più trasversale, per potermi fidare “a prescindere”, come ti fidi del fatto che Adelphi, o Sellerio, o certe collane, siano quello che sono. Altrimenti, l’unico che guadagna con un mare di pesci piccolissimi è uno grosso come una balena (chi ha detto Amazon?). 🙂
Michele Scarparo dice
Dimenticavo… No, non ho visto il marziano (ma ho letto la storia del libro, self e tutto quanto 😉 )
Serena dice
Il lettore ha un grande potere che non dovrebbe mollare a nessuno, secondo me. Neanche a un editore.
(A me è capitata in mano della roba di Adelphi che mi ha fatto dormire dopo tre pagine, forse prima)
Serena dice
Ecco, ho appena finito di dire più o meno le stesse cose XD
In più: per me l’editore è un intermediario. Sarò squallida, colpa dei troppi anni da commerciale, ma di questi tempi le catene distributive si accorciano, per ovvie ragioni di riduzione dei margini. Io continuo a non capire quale sia la libidine di essere scelto da un editore tradizionale. Forse una volta sì, poteva essere interessante, ma adesso? Boh.
Andrea Cabassi dice
“Nessuno sceglie un autore da leggere per l’editore” –> io lo faccio, non mi sembra necessario un grande lavoro di indagine per capire che certe collane Mondadori pubblicano solo puttanate, mentre Adelphi solo opere di grande qualità.
Serena dice
Tieni anche conto di una cosa: tu non sei solo lettore, sei anche scrittore. Siamo un filino più critici, un filino più consapevoli di un lettore al quale non passa nemmeno per l’anticamera del cervello di scrivere. Mio padre è un lettore forte, ma se gli chiedo chi è l’editore di uno dei suoi libri ci deve pensare prima di rispondermi. E io ancora non riesco a ricordare da chi è pubblicata la mia serie di Dune. Frank Herbert però me lo ricordo.
Andrea Cabassi dice
Editrice Nord 🙂
Serena dice
gnè gnè gnè! 😛
Marco Amato dice
Quando si guarda al mercato, non bisogna commettere l’errore di fare parametro su se stessi. Anch’io guardo l’editore quando acquisto. Ma io son io. Il lettore medio non ci fa caso. Se volete avere la conferma di questo, basta un esempio finale.
Amazon è la più grande libreria al mondo, e anche la più grande libreria Italiana.
Non so se avete mai acquistato da Amazon o magari avete solo sfogliato le pagine delle vetrine.
Con scommessa, per ciascun libro, sapete indicarmi dove si trova la menzione dell’editore?
Sulla copertina certo. Ma in genere le immagini delle copertine sono così piccole che l’editore non si legge. A volte non si legge neppure il titolo, per dire.
Si trova facilmente in bella vista il titolo del romanzo, l’autore e l’eventuale traduttore. Ma non l’editore.
L’unica menzione dell’editore è in piccolo in mezzo alle note tecniche tipo il numero di pagine, la lingua, le categorie in cui è inserito il libro. Dove non legge quasi nessuno.
E’ evidente che Amazon se ne sbatte altamente dell’editore. E i milioni di clienti di Amazon non si affannano più di tanto per richiederlo.
Infatti, quando molti dicono io non voglio pubblicare in self publishing per non confondermi con gli scarsi, non capisco a cosa si riferiscono.
Amazon mette sullo stesso piano libri di autori autopubblicati con i grandi scrittori.
Amazon se ne frega se un autore è premio nobel, o si chiama King. Se l’autore indipendente vende di più, ha migliori recensioni, viene posto in posizioni più visibili dell’autore blasonato o del top editore.
Questa politica è evidente in America (in Italia nessun editore fiata) perché fa infuriare i big five. E anche da queste diatribe nascono le possenti guerre fra i grandi editori e Amazon. Ma questa è tutta un’altra storia.
Andrea Cabassi dice
Scusa ma queste mi sembrano seghe mentali. Se uno vuole sapere di che editore sia il libro che sta osservando su Amazon è sufficiente che sposti lo sguardo di 5 cm dalla copertina ed eccolo scritto lì in basso.
La realtà dei fatti è che un libro pubblicato senza editore non dà nessuna garanzia di qualità (che è diverso da “non è di qualità”), mentre un libro pubblicato da Edizioni Cabassi, per sfigato che sia questo editore, ha dovuto superare una serie di filtri e quindi – dal punto di vista “tecnico” (bozze, copertina, editing ecc.) è mediamente (ma di tanto) superiore da un libro pubblicato senza editore.
In America bla bla bla. qui siamo in Italia e le cose vanno in modo differente.
Marco Amato dice
Andrea, ci ricadi, credo che ai tuoi insulti sia inutile qualsiasi replica.
Sono una persona educata, ma la villania mal la sopporto. Vedrò in futuro di non commentare tuoi commenti, ti chiedo cortesemente di fare altrettanto. A partire da questo. Grazie.
Serena dice
Vanno così anche in America, Andrea. Anche là c’è un mare di cacca, gente con copertine orrende, errori e storie sconclusionate. Ma ci sono delle differenze. Loro hanno indubbiamente una testa un po’ diversa dalla nostra, no? E hanno cominciato prima di noi, quindi molti autori hanno imparato a produrre libri migliori. In più il movimento Indie, che prendi amabilmente per il culo con le tue cartine geografiche, è organizzato in associazioni serie che qua da noi non prenderanno mai piede: perché siamo troppo individualisti (leggi: meschini) per aiutarci l’un l’altro, forse?
A me le discussioni accese non danno alcun fastidio. E sono benvenuti i bla bla bla di tutti, anche i tuoi.
Serena dice
Ma scusa Michele, tu come lo scegli un libro? Per prima cosa guardi l’editore? Non credo. Io adoro Le memorie di Adriano della Yourcenar, ma se mi chiedi chi è l’editore, in questo momento non te lo so dire. Anche del Signore degli Anelli non mi ricordo chi è l’editore, mi sembra Longanesi ma non sono sicura. E chi se ne frega? Del signor Tolkien, invece, mi ricordo benissimo. E della serie di Dune? Chi è l’editore? Ti rispondo con un solenne BOH.
Quanto alla marmellata: non è necessario mangiare quattro o cinque cucchiaiate, credo. Alla prima già sai se ti piace o meno. Poi, se il vasetto è confezionato da schifo e presentato male, ti scappa anche la voglia di assaggiarlo. E per fortuna, aggiungo io.
Personalmente scarico un sacco di estratti, oppure li guardo direttamente online su Amazon. Alcuni non sopravvivono fino alla terza-quarta riga.
Il problema di cui parli sarebbe quello di distinguere self da Indie? Ho capito bene? Ma perché è un problema? Il mio, di problema, è leggere delle belle storie (e magari riuscire anche a finirne una) 🙂 .
Michele Scarparo dice
Gli editori (e le collane) dovrebbero proprio servire a quello: se ti è piaciuto un certo libro, in quella collana ne troverai di simili che potrebbero piacerti allo stesso modo. Comperando libri dell’autore, invece, potresti non trovare sempre le stesse cose (anzi, di solito non le trovi). Per fare un esempio: Asimov ha scritto di tutto, ma se ti piace la fantascienza è meglio cercare Urania piuttosto che il sig. Isaac. 😉
La divisione self/indie (molto artificiosa, lo ammetto) era solo per dividere, rispettivamente, gli scribacchini che pestano dei tasti dentro a word dagli autori che si sbattono per presentare una storia (con annessi editor e balle varie) 🙂
ps: (lo metto perché ti farò contenta) sto per comperarmi scrivener 🙂
Michele Scarparo dice
Comunque sì: quando scelgo un libro guardo l’editore. Non tanto per comperare da uno che mi sta simpatico, quanto per evitare di dare dei soldi a quelli che mi stanno antipatici perché lavorano male 😉
Serena dice
Io sono un po’ suggestionata da Sellerio e Adelphi, lo ammetto. Ma prevalentemente mi vado a leggere la sinossi e vedo se l’idea mi intriga. Se l’idea mi intriga, vado all’estratto e lì decidere può essere questione di poche righe 😛
Sandra dice
APPLAUSOMETRO tra l’altro sono noti i nomi dei cattivi pagatori, editori così io non li foraggio! Alcuni editori poi hanno davvero una riconoscibilità bella, di cui mi fido. Sì, io guardo l’editore.
Serena dice
EVVAI!!!! Sono pronta a scommettere che te ne innamorerai. Hai Mac o Windows?
Michele Scarparo dice
Windows. In realtà, come ti dicevo, uso storyist per ipad e, se avessi un mac, avrei preso storyist per mac. Però non ho voglia di pagare i soldi di un mac; ci sono cose che sono scomode da portare dentro e fuori da storyist e scrivener gli somiglia abbastanza da tentare una convivenza. 🙂
Serena dice
Se hai bisogno di aiuto, io sono qua. Fatti il tutorial, poi se vuoi ci sentiamo.
Marco Amato dice
Ohhh sono il primo a commentare dopo tanto e molto tempo. Si vede che il ramingo sta tornando. 😉
Non posso uscirmene con un concordo? No, non posso.
Quindi occorre finire la storia come prima cosa?
Io ho tre romanzi in carreggiata. Secondo me tutti molto promettenti. Prima li ho modulati, adesso sono tornato per finire il lavoro. 😉
Serena dice
Ciao, Ramingo, e bentornato. Scegli un romanzo e finisci quello, su! 😀