Vendere narrativa – o anche solo farsi leggere – non è un lavoro facile.
Non è come vendere il ghiaccio agli esquimesi: è molto peggio. È più, tipo, come andare al Polo Nord, mettere giù un banchetto e proporre il ghiaccio a pochissimo, anzi due spiccioli, anzi lo si regali pure. Nel mentre, alzi gli occhi e ti accorgi che di banchetti ce ne sono a centinaia, anzi a migliaia, e tutti offrono ghiaccio. Ci sono anche degli Aspiranti Venditori che non hanno voglia – giustamente – di aprire il proprio banchetto e arrangiarsi come possono, e quindi si rivolgono al Grande Venditore di Ghiaccio. Tutti si chiedono come faccia costui a sopravvivere, visto che ormai gli esquimesi si sono aggiustati, vivono in case prefabbricate e il ghiaccio gli serve solo per il Martini. Di fatto però il GVdG è ancora lì e allora gli AV si mettono in fila e gli chiedono se per favore non vorrebbe fare lui da tramite con gli esquimesi. Se il GVdG risponde “OK, il tuo ghiaccio lo prendo io, forse ci posso guadagnare qualcosa”, L’AV ha un orgasmo. Multiplo.
Poi ci sono altri tizi che dicono all’Aspirante Venditore “dammi un po’ dei tuoi soldi – possibilmente tanti – e in cambio ti insegno come vendere il tuo ghiaccio da solo! Migliaia e migliaia di cubetti!” Ma se perdi tre minuti a fare un controllino, scopri che ‘sti qua che vogliono insegnare hanno, al loro attivo, solo la vendita di una granita. Che attualmente si trova al trecentomillesimo posto nella Grande Classifica Generale dei Venditori di Ghiaccio.
Il panorama qui al Polo è, appunto, coperto di ghiaccio. Abbastanza desolante.
Sono iscritta a un’associazione americana di scrittrici e ricevo una volta la settimana una newsletter, sempre molto interessante. Di solito devo accontentarmi di scorrere i titoli – perché non ho tempo di andare in bagno, figurarsi di leggere le newsletter – ma una delle ultime edizioni mi ha costretta a fermarmi e a prestare attenzione alla segnalazione di questo articolo, del quale vi consiglio la lettura. Il pezzo viene introdotto così:
Doomed To Fail.
“Here’s the sad truth: most people who write a book will never get it published, half the writers who are published won’t see a second book in print, and most books published are never reprinted. What’s more, half the titles in any given bookshop won’t sell a single copy there, and most published writers won’t earn anything from their book apart from the advance,” Ian Irvine writes in his article, “The Truth about Publishing”. Before you quit, remember why you began to write. No one ever succeeded by stopping. Don’t go to the dark side, stay passionate.
Condannati al fallimento.
“Ecco la triste verità: molti tra quelli che scrivono un libro non lo vedranno mai pubblicato, la metà degli scrittori che vengono pubblicati non vedrà un proprio secondo libro in stampa e la maggior parte dei libri pubblicati non sarà mai ristampata. Oltre a questo, metà dei titoli esposti in una libreria non venderanno nemmeno una copia in quella libreria, e la maggior parte degli scrittori pubblicati non guadagnerà nulla dalla vendita del proprio libro, a parte l’anticipo” scrive Ian Irvine nel suo articolo “La verità sulla pubblicazione”. Prima di mollare tutto, ricordate perché avete cominciato a scrivere. Nessuno ha successo arrendendosi. Non passate al Lato Oscuro, rimanete appassionati.
Questo per quanto riguarda un bel bagnetto nella realtà.
Ho cominciato questo blog tre anni fa,
credo che il terzo compleanno si collochi dalle parti dei primi di novembre, ma non credo di avere mai avuto grandi illusioni, e le poche che avevo si sono sciolte. Come ghiaccio (again!). Le cose si muovono velocemente, ai tempi nostri, e anche se sono passati solo tre anni il mondo dell’editoria è cambiato molto. E non in meglio.
Tuttavia alcune cose resistono; io per esempio ho sempre creduto e ripetuto fin da allora che la scrittura appartiene a tutti.
La scrittura non è come essere visitati dall’arcangelo Gabriele che ti annuncia che sei uno Scrittore e partorirai un Libro. Ho scoperto che è più come lavorare all’uncinetto!
- Lo fanno molte più donne che uomini (anche se gli uomini vengono pubblicati più facilmente, lo sappiamo tutti… magari ne parleremo anche qui prima o poi)
- C’è chi crea finissimi capolavori simili a cristalli di neve, che finiranno in un museo delle Arti e saranno ammirati dalle generazioni future
- Però si possono creare lavori piuttosto rustici, fatti con lana grossa e uncinetto da 8 mm, con minimo sforzo e massimo (si fa per dire) rendimento
- Si possono anche creare delle ciofeche inguardabili, però magari divertendosi moltissimo
- Ormai lo si fa più per piacere che per necessità
- Rispetto a un tempo, un sacco di gente in più sa farlo. Poi su Youtube ci sono anche i tutorial, no?
- Qualcuno lo sa fare davvero, qualcuno crede di saperlo fare ma non è così, e se gli vai a dire che quel punto lì è sbagliato e sarebbe il caso di disfare e ricominciare, ti risponde “sei mica matta, con tutto il tempo che ci ho messo!” oppure “eh, però a me piace così!”
- Chi lo sa fare non è nato imparato, ha impiegato ore, giorni e anni per saperlo fare. E adesso crea cose che tu guardi a bocca aperta e dici “io non ce la farò mai”.
- Qualcuno ha proprio un problema ad impugnare l’uncinetto e sarebbe meglio si dedicasse, che ne so, al lavoro a maglia o al giardinaggio, ma chi ha il coraggio di dirglielo?
E poi la diatriba sulla parola Autore e la parola Scrittore. Chi può usare per sé il termine Scrittore? No, è meglio Autore. Ma un Autore/autrice di presine e un Autore/Autrice di testi narrativi sempre Autori sono. O no? E anch’io sono un’Autrice. Per esempio sono indiscutibilmente l’Autrice di mio figlio e anche di un sacco di biscotti di pastafrolla, ma non è che questo mi trasformi in una creatura straordinaria. Ah, e poi sono incidentalmente anche Autrice di molti lavori all’uncinetto.
E quindi?
Quindi avevo voglia di dissacrare un po’. Di smontare. Di dirvi che litigare non serve a niente, che tanto stiamo tutti quanti legati per le zampe come i capponi di Renzo, in senso sia editoriale che esistenziale. Forse per una grama volta volevo svuotare la scarpa dai sassolini, e lasciare qui nuda e cruda la sola verità in ragione della quale questo blog – anche se un po’ abbandonato – è ancora aperto.
Perché mi piace scrivere. Perché qualcuno mi legge; e me ne basta uno solo che si emozioni sul serio, e ho benzina sufficiente per altri dieci anni, sia per scrivere la mia roba da ragazzini, sia per continuare a utilizzare la mia porzione di bytes. Senza pretendere di cambiare la vita di nessuno, perché per cambiare una vita ci devi stare dentro con tutte le scarpe, se no è meglio star zitti che si fa più bella figura. Perché non ci sono piedistalli, non ci sono guadagni, non ci sono orgogli e allori e riconoscimenti: c’è solo la volontà feroce di trovare, in ogni giornata da delirio, qualche minuto per picchiare sulla tastiera. È solo questo, non c’è altro. La scrittura è mia, guai a chi me la tocca.
Buon weekend 🙂