Proseguo con le riflessioni iniziate la scorsa settimana in questo post, dopo che il mio amico C., autore pubblicato, mi ha contattata per fare due chiacchiere a seguito di una discussione con il suo agente.
Gli scrittori, C. compreso, non sono quasi mai tipi da numeri (a meno che si tratti di «quante copie ho venduto oggi»). Magari è una vita che si trovano a loro agio più con le parole che con le cifre, più con il tema di italiano che con la verifica di matematica, più con il manuale di scrittura creativa che con le istruzioni del 730 (OK, se uno si trova a suo agio con le istruzioni del 730 è da curare).
Comunque sia, caro C., l’autore 2.0 con i numeri deve fare la pace. Già mi pare di sentirti obiettare che i numeri ti fanno proprio schifo e che tanto il 730 te lo fa qualcun altro, non vuoi neanche vederlo; ma c’è una ragione precisa per cui ti invito a vincere il ribrezzo e confrontarti con le cifre. Ti conviene prenderne coscienza perché i dati servono a fare scelte ponderate.
Tu sei rimasto deluso dalle tue vendite, dal comportamento del tuo agente, dallo scarso ritorno di tutti gli sforzi fatti finora per farti conoscere e per realizzare il tuo sogno di essere uno scrittore.
Le delusioni nascono dalle aspettative. I dati servono a questo: a valutare le tue aspettative. Sono realistiche, o ti stai candidando a una bella botta sul naso?
Lo sappiamo tutti che per gli esordienti è difficile, che l’editoria è in crisi, che si vende poco e bla bla bla. Il punto è: quanto, in crisi? Quanto si vende? Quanto è, esattamente, “poco”? Le copie che hai venduto tu sono certamente una caccola di mosca a confronto di quelle che ha venduto la Rowling, siamo d’accordo. E confrontate, invece, con la situazione standard di un autore emergente: sono tante, o poche, o cosa?
E i dati che si trovano in Rete: sono tanti, pochi, troppi? Affidabili o tutta fuffa?
Come spiega Chiara Beretta Mazzotta in questo bell’ articolo, sapere – ad esempio – quanto vendono gli scrittori italiani non è cosa semplice. Tuttavia, un’affermazione o un consiglio che non siano accompagnati da numeri sono solo opinioni; noi quindi dobbiamo procurarci qualcosa di più solido su cui basare i nostri ragionamenti. E mica solo tu ed io, caro C. Conoscere le cifre può essere cruciale. È per questo che Hugh Howey e un suo amico misterioso si sono inventati authorearnings.com. Per dare una mano concreta agli Autori 2.0, che adesso nei paesi anglofoni si chiamano anche Authorpreneur. Gli autori-imprenditori i numeri hanno imparato a farseli piacere, anzi, non gli bastano mai. È la direzione verso la quale, inevitabilmente, ci orienteremo anche noi.
Authorearnings.com: a cosa servono i numeri del mercato editoriale.
Dare un’occhiata oltreoceano è sempre un po’ come guardare in una palla di cristallo, che ci proietta dai cinque ai dieci anni nel futuro. Noi italiani abbiamo sicuramente le nostre peculiarità, ma tenendolo presente e fatte le dovute distinzioni, perché non sbirciare cosa succede là? Tanto è gratis.
Hugh Howey è l’autore autopubblicato di una saga bestseller della quale la 20th Century Fox si è comprata i diritti cinematografici. Al momento pare che, tra coloro che si occuperanno della trasposizione per il grande schermo, ci sia un signore di nome Ridley Scott. Ci sarebbe molto da dire su Hugh (che come dissi già qui è anche un bel figliolo) ma questo articolo non si deve occupare di lui. Ci interessa piuttosto una sua creazione non letteraria, che ha sovvertito definitivamente il modo in cui gli autori Indie pensano a se stessi. Una creazione ancora più rivoluzionaria dell’esempio di Hugh stesso, che ha rifiutato di cedere a Simon & Schuster i diritti digitali delle sue opere, resistendo ad un assegno a 7 cifre.
Nel febbraio del 2014 Hugh, coadiuvato da una persona che mi risulta preferisca restare anonima (se nel frattempo si è scoperto chi è, ditemelo), ha fondato il sito Authorearnings.com con l’intento di
…to gather and share information so that writers can make informed decisions. Our secondary mission is to call for change within the publishing community for better pay and fairer terms in all contracts. This is a website by authors and for authors.
(…raccogliere e condividere informazioni in modo che gli scrittori possano prendere decisioni fondate. La nostra missione secondaria è quello di provocare un cambiamento all’interno della comunità degli editori, per una migliore retribuzione e condizioni più eque in tutti i contratti. Questo è un sito degli autori e per gli autori. Traduzione di servizio, n.d.r.)
I report che vengono pubblicati da authorearnings.com brillano per chiarezza di esposizione, austerità, precisione. Sono sempre accompagnati da un commento che propone interpretazioni dei dati e mette in evidenza i trend più significativi, ma Howey e compagni hanno privilegiato la chiarezza e l’oggettività. I report sono estremamente leggibili e, per chi lo desidera, c’è la possibilità di scaricare il file Excel con tutti i numeri su cui il report stesso è stato costruito. Perché lo scopo è proprio questo: fornire agli autori i dati – di difficile reperibilità – di cui necessitano quando devono fare scelte cruciali. Come quella, per fare un esempio banale, di lasciare un detestato lavoro tradizionale (il dayjob) per guadagnarsi da vivere facendo lo scrittore.
La pubblicazione del primo report di authorearnings.com, avvenuta ufficialmente il 12 febbraio 2014 e ufficiosamente il pomeriggio dell’11, ha fatto, come si suol dire, il botto. Il sito è andato offline per eccesso di traffico e le reazioni sono state emotive, emozionate, emozionanti. In quest’articolo di Porter Anderson, che intervista Howey sul sito di Jane Friedman il giorno stesso, se ne coglie tutta la portata. Anderson sottolinea più volte questo: che il lavoro di Hugh Howey mira ad essere utile non solo agli autori autopubblicati, che ne escono con grande dignità, ma a tutti coloro che vogliono vivere di scrittura. Ragione per la quale vale la pena di tenere d’occhio authorearnings.com. Considerando che abbiamo il vantaggio di guardare nella palla di cristallo.
Le conclusioni che si possono trarre dai dati emersi, tuttavia, non piaceranno a tutti. Che siano fondate non equivale a dire che siano piacevoli. Il 5 gennaio 2015 Howey scrive, mentre fa un bilancio dell’anno appena trascorso:
What had been a sprinkling of anecdotes piled up into real data. Authors like Brenna Aubrey turned down lucrative publishing contracts and out-earned those offers within months of self-publishing. And a steady flow of unknown authors with no publishing history or established following climbed to the top of their categories and had success out of the gate based primarily on the strength of their storytelling.
The problem with this turn of events — if it can be thought of as a problem — is the idea that anyone could have this level of success. One thing not mentioned enough in 2014 is that making a career with writing requires working your tail off and a heaping dose of luck. I don’t think we give either of these facets enough credit. The people I see doing well with their writing are working incredible hours, often on top of their day jobs at first, and it isn’t reasonable to expect everyone to have the fortitude to do this for year after year until they develop a following.
Similarly, we don’t give the element of chance enough credit for those who do break out. Great books go ignored every single day. There’s nothing anyone can say to make that better for the authors who are watching their works not grab hold. Write more is the best advice, but it’s also the hardest to hear.
(Ciò che prima era una spolverata di aneddoti si è agglomerata in dati reali. Autori come Brenna Aubrey hanno rifiutato contratti tradizionali profittevoli e hanno guadagnato parecchio di più nel giro di pochi mesi di self-publishing. E un piccolo esercito di autori sconosciuti, senza storia editoriale e senza un solido seguito di lettori, è salito al vertice della propria categoria e ha avuto un successo immediato basato principalmente sulla forza della propria narrazione.
Il problema con questo stato di cose – se può essere pensato come un problema – è l’idea che chiunque possa avere questo tipo di successo. Una cosa di cui non si è parlato abbastanza nel 2014 è che per costruirsi una carriera con la scrittura è necessario farsi un fondello così e avere una buona dose di fortuna. Secondo me non diamo abbastanza credito a questi aspetti. Le persone che vedo riuscire bene come scrittori lavorano un incredibile numero di ore, e all’inizio lo fanno spesso in aggiunta ad un lavoro diurno. Non è ragionevole aspettarsi che tutti abbiano la forza di continuare così anno dopo anno, fino a quando riescono ad avere un pubblico.
Allo stesso modo, non diamo abbastanza peso all’elemento casuale nemmeno per coloro che falliscono. Grandi libri vengono ignorati ogni singolo giorno. Non c’è niente che si possa dire per consolare gli autori quando vedono che le loro opere non vanno e basta. Scrivi di più (continua a scrivere) è il consiglio migliore, ma è anche il più difficile da sentire.”
Le cifre dell’AIE
L’AIE è l’Associazione Italiana Editori, cioè l’associazione di categoria degli editori italiani – e di quelli stranieri attivi in Italia – di libri, riviste e prodotti di editoria digitale. Tutti gli anni pubblica un report sullo stato dell’editoria in Italia, che puoi scaricare qui; ne esiste anche un’integrazione, pubblicata a gennaio 2015, che trovi qui. In realtà si tratta di estratti; il report completo è una pubblicazione a pagamento che si può acquistare qui. Per i nostri scopi sono sufficienti gli estratti, che ti invito a leggere. Dai quali estrapoliamo quanto segue:
– Nel 2014 sono stati prodotti 63.417 titoli in cartaceo e 53.739 in digitale. Vi è una parziale sovrapposizione tra le due cifre, perché molti titoli in cartaceo sono disponibili anche in digitale. La cifra per gli ebook non include quelli gratuiti e quelli senza ISNB, che sono… un fantastiliardo. Considerando solo il cartaceo, sono in media 173 titoli al giorno. In ebook, 147 titoli al giorno. Non ho il dato di quanti siano i libri pubblicati sia in ebook sia in cartaceo, ma possiamo secondo te azzardare che, sommando tutto e stimando per difetto, siano almeno 300 al giorno i nuovi titoli pubblicati nel 2014?
Tradotto in termini pratici: se tu pubblicassi un libro al giorno, avresti (è una stima per difetto) all’incirca tre centinaia di concorrenti diversi ogni giorno, se non di più. Non male, eh?
(E siccome questo post mi sta venendo più lungo del previsto, e manca ancora un sacco di roba, per adesso mi fermo qui. Ne pubblicherò la seconda parte al più tardi lunedì prossimo, il 18 maggio. Ma spero prima.)
E voi, che rapporto avete con i numeri? Quanto li conoscete? Ma soprattutto: quanto vi influenzano, come scrittori o aspiranti tali, nel bene e nel male?
Renato Mite dice
Con i numeri non mi trovo male, ma con la scrittura mi trovo decisamente meglio, per questo motivo guardo poco i numeri e scrivo più che posso. Non mi faccio influenzare dai numeri perché sono convinto che se ti impegni nella scrittura, i tuoi lettori lo apprezzeranno e a quel punto non puoi sapere e non importa quanti saranno. Ogni libro viene letto più volte, anche da persone diverse, di quanto viene acquistato. Ogni lettore è un universo di emozioni che si riflettono su di te, come scrittore e come persona. Quella è la vera sensazione appagante.
Serena dice
Al fatto che un libro viene letto da più persone rispetto a quelle che lo comprano non ci avevo pensato, sai? Hai ragione ^^ E ti dirò: all’estremo, anche un solo lettore felice potrebbe bastare. Ovvio che tutti noi pretendiamo qualcosa di più, ma anche una sola persona che riceva qualcosa dalla nostra scrittura è importante. Però bisogna venire a saperlo… Io ho pubblicato su archivi online dove ho avuto la fortuna di ricevere molti commenti, ed è assolutamente appagante. Ho provato di recente a ripetere l’esperienza con un nuovo pseudonimo, per partire veramente da zero e vedere come se la cavava la storia nuda e cruda. Ho un riscontro interessante, ma alcuni brani sono caduti nel silenzio e non è per niente piacevole.
Angela Gagliano dice
Ciao Serena, leggerti è sempre illuminante.
Sono sul baratro di una scelta: continuare a scrivere solo per me stessa e mandare al diavolo i numeri, con l’annesso sistema di monetizzazione delle emozioni.
Dopotutto, io sono “Culo pesante”, così mi chiamava un amico.
Serena dice
Ciao tesoro. Credo che si scriva in primo luogo per se stessi, anche quando si riesce a ricavarci dei soldi. Le vie per sopravvivere ai numeri desolanti ci sono, e se mi riprendo dal febbrone che ho addosso ne parlerò nel post di martedì prossimo.
Grazie per essere passata, appena esco dal coma passo a trovarti a casa tua.
Ti abbraccio forte.
Marco Freccero dice
Gli inglesi dicono che i numeri sono quella cosa che, torturata a dovere, dicono qualunque cosa. Questo per ricordare a tutti noi che sono importanti, ma non devono diventare il solo punto di riferimento (ma mi pare che anche tu la pensi in questa maniera).
La mia idea è che il self-publishing potrebbe (il condizionale è d’obbligo) indurre certa gente ad avvicinarsi alla lettura. Per adesso siamo noi che lo sosteniamo.
E nel termine “self-publishing” ci metto anche il diverso modo di agire dello scrittore, chiamato a creare conversazione. Ad avvicinare lettori e non, per stabilire con essi una relazione. Le persone hanno di chi scrive un’idea sballata e sbagliata: di un tipo/tipa che vive sulle nuvole, ispirato, che parla con Dei o Muse… Tutto falso. Sbaglierò, ma esiste la possibilità di riallacciare con lettori e non-lettori un rapporto che editoria (non tutta) e scrittori (non tutti) hanno compromesso.
Serena dice
Certo che la penso anch’io così, Marco. E ci arriverò, a quello, alla parte positiva, alla ragione per cui facciamo tutto. Solo che prima devo passare dalla parte brutta, quella che spaventa, quella delle fregature, delle illusioni fondate su concetti superati di scrittore e lettore. La possibilità di riallacciare quel rapporto esiste, bisogna un po’ sapere come farlo, un po’ imparare dai migliori, un po’ fare cavolate sulla propria pelle. Se i miei lettori non sono già tutti scappati in preda ad un attacco depressivo, nel prossimo articolo dedicherò parecchi spazio a questo. Basta che mi passi il febbrone, sono a letto piena di tachipirina (e no, non riesco a fare a meno di scrivere qualcosa lo stesso, il mio cervello non sta mai buono). Grazie di essere passato ancora, avverto una certa sintonia XD
Marco Amato dice
Ciao Serena,
Ti seguo da un po’ e sto molto apprezzando questa serie di articoli per spiegare a C. (In bocca al lupo C.) le reali alternative alla pubblicazione tradizionale. Commento raramente, ma stavolta lo faccio per farti i miei complimenti.
Sono davvero pochi i blogger, gli scrittori, i self-publisher nostrani, che sanno alzare la testa e dire: “ma come funziona là fuori?”
Siamo sicuri che i pregiudizi sul self che circolano sia veritieri anche delle realtà più evolute?
Io ho studiato parecchio il self publishing americano, diciamo che ne so abbastanza ed è chiaro che Howey è il mio punto di riferimento.
Howey, ad esempio, ha tracciato una serie di motivazioni per le quali il self-publishing per uno scrittore è una risorsa superiore alla pubblicazione tradizionale. E tali punti, qui da noi, vengono letteralmente ignorati.
Il Self publishing comunque non è per tutti, è chiaro. Però il criterio di valutazione che vige in Italia, pubblichi in self publishing perché sei sfigato visto che gli editori tradizionali ti hanno rifiutato, è molto lontano dal vero. Dal vero altrove che prima o poi arriverà pure da noi.
Pertanto sono curioso di vedere come evolverà questa serie di post. Resto in ascolto… ehm, in lettura… 😉
Serena dice
Ciao Marco, ma che bello leggerti 😀 e che bello, anzi, bellissimo, sapere che qualcun altro, oltre a me, butta l’occhio al di là dell’oceano. Io ho sempre un po’ il timore di essere accusata di esterofilia, quella nostra tipica alla “Tu vuò fa’ l’americano”. Invece anch’io, come te, ritengo semplicemente che parecchio di quello che succede là prima o poi arriverà da noi. Quindi vale la pena di osservare, imparare dove si può, fare ipotesi e trarre conclusioni.
Le cose da dire sono ancora tante. Pensa che questo, all’inizio, doveva essere un unico post intitolato “Self Publishing, è finita la festa?”, ma ogni volta che mi ci mettevo sopra mi perdevo in mille direzioni diverse, tante erano le riflessioni. C. è stato davvero una manna dal cielo: perché mi ha aiutata a concretizzare, finalizzare, ma anche perché, se vuoi saperlo, ancora resiste e quando cerco di ragionare con lui mi vengono un sacco di idee per i post XD. Gli parlo e ancora percepisco una serie di pregiudizi verso il Self Publishing, e il suo bisogno di un avallo dall’editoria tradizionale, avallo ormai di discutibile valore. Spero che alla fine della serie, dopo avere letto tutto, mi dia almeno una possibilità. Tanto che cos’ha da perdere? Ehi, tu, C.: che ti costa provare a darmi retta? Tanto anche ora non è che tu sia molto contento, giusto? 😛
Ancora grazie, Marco, per avere commentato, mi hai fatto tanto piacere e mi hai rincuorata. Spero di leggerti ancora. E alla fine della serie manca ancora un bel po’ di roba 😀
Marco Amato dice
Tra l’altro ho notato che sei fan di Scrivener. Io mi domando come si faccia a scrivere con programmi sequenziali tipo Word e OpenOffice. Scrivener è il mio paradiso. Penso addirittura che tanti anni fa, prima che riprendessi la scrittura, uno dei miei blocchi era proprio Word. Scrivener consente di poter gestire il romanzo sotto una molteplicità di aspetti davvero incredibile. Figurati che adesso che ho completato il mio primo romanzo ed è in valutazione da un editor, ho acquisito una competenza degli strumenti, che mi permette di gestire la pianificazione e la stesura di altri tre romanzi. Scrivener me lo permette, dalla cookborad alle strutture ad albero; le sottocartelle, le sinossi per capitolo, gli appunti. Tutto è in multitasking e a portata di mouse per qualsiasi mia esigenza. Fantastico.
Dico questo perché come nel self publishing credo che sia importante anche l’approccio. La predisposizione mentale che ciascuno di noi porta in sé.
Sul self mi permetto d’aggiungere che in Italia, per poter cambiare rotta e opinione, occorre soltanto l’apripista. Il primo bestseller da svariate migliaia di copie. E da qui, far capire agli autori, che non è una via minore, ma che richiede una professionalità editoriale a tutto tondo. Con Editing autofinanziato, correzione di bozze, grafica professionale, marketing adeguato. Le competenze dell’editore, non scompaiono, ma vengono delegate all’autore stesso, che come un regista deve affidarsi a validi professionisti esterni.
Non tutti sono in grado è chiaro. Ma infatti il self-publishing non sostituisce l’editoria tradizionale. È solo una alternativa importante che consente all’autore di autodeterminarsi: nel bene, come nel male.
Serena dice
Argh, mi sono persa la risposta (chilometrica) che ti stavo scrivendo! Mi sa che per stasera è meglio se vado a dormire, continuo a fare cavolate, ma domani ti rispondo in modo più decente. Anticipo solo questo: che sottoscrivo con il sangue questa tua frase,
Vale per tutto. Notte, a domani 😀
Marco Amato dice
ahah Scherzetti tecnologici che capitano… 😉
Serena dice
Rieccomi, vediamo se stavolta WordPress ha pietà di me.
Su Scrivener: anch’io non mi capacito di un certo tipo di diffidenza, francamente. Proprio venerdì ho sperimentato sulla mia pelle la rigidità di Word e di un sistema sequenziale. Lì, se sbagli cartella, o un salvataggio o una rinomina, sei impanato e fritto. Con Scrivener questi passaggi non sono necessari, ma a te che te lo dico a fare XD Ho in mente, ora, di creare un piccolo video non tanto di istruzione quanto di presentazione, per cominciare. Voglio che tutti vedano in diretta la goduria infinita della creazione di un nuovo progetto Scrivener!
Quanto a ciò che dicevi dell’apripista, sono d’accordo, ma il fenomeno è comunque già partito ed è in corsa. E’ un fenomeno di tipo prevalentemente economico, un accorciamento della catena distributiva dato dal restringersi dei margini di guadagno. Ci scriverò su presto, spero tornerai a dirmi la tua opinione.
Ciao, a presto 🙂
Grazia Gironella dice
Non ho antipatia per i numeri, ma di sicuro non sono il mio pane, tanto più se rischiano di minare il mio morale. Eppure anche quelli servono, se non altro a ricordarmi che “non riuscire” non significa per forza “non valere”. Qualche giorno fa Massimiliano Zantedeschi, l’agente che mi rappresenta (TZLA), mi faceva al telefono un paio di conti: Salani esce con x titoli l’anno, di cui y possono essere di nuovi autori; Rizzoli…; Fanucci… Una bella somma finale, e scopro dire di avere circa trenta possibilità di essere notata su migliaia di manoscritti che vengono recapitati a questi editori importanti ogni anno. Mica male, eh? Soprattutto perché io, come te, scrivo per essere letta. Se fossi sicura al cento per cento di non riuscire a fare progressi, nemmeno nel tempo, nemmeno di un palmo alla volta, non credo che continuerei a scrivere. Quindi i numeri, per quanto sfavorevoli, mi servono a rendermi conto che il Grande Sogno è anche una Grande Impresa dagli esiti incerti. Mi dà il senso delle proporzioni, così scrivo più tranquilla, senza scalpitare.
Grazia Gironella dice
Cioè, senza scalpitare TROPPO. Ehm.
Serena dice
XDDDDD Io pure!
Serena dice
I numeri devono servire solo a fare scelte ponderate. E in questo panorama desolante, sai che penso? Che ci sono parecchie cose da fare per aiutarsi a realizzare, o almeno ad avvicinarsi, al grande sogno. E poi c’è un bel discorso da fare sul successo, discorso che hai cominciato tu nel tuo bellissimo post di settimana scorsa, e che io riprenderò verso la fine della serie. Quella è una parte importante: i piedi per terra e la testa nelle nuvole.
Volevo dirti una cosa che non c’entra niente, magari tra un po’ ti scriverò in privato. Mi è venuta un’idea per un progetto di scrittura che credo potrebbe piacerti. Appena sono pronta mi faccio sentire, ma non dipende tutto da me.
Mi piace sempre tanto averti qui *abbraccio*
Grazia Gironella dice
Aspetto! 🙂
Daniele dice
Conoscevo i numeri dell’AIE. Da una parte è vero che bisogna fare i conti con tutti quei concorrenti, ma dall’altra non sono realmente dei concorrenti. Chi legge te può anche gradire me, per esempio 🙂
Se ci lasciamo impaurire da quei numeri, non proveremo mai a pubblicare.
Serena dice
Rinunciare, mai! 😀 Però sai qual è la cosa triste? Non che sia sempre più difficile, anche su un mercato enorme come quello anglosassone, campare di scrittura. Non che gli autori guadagnino molto poco, e nemmeno che non si riesca a portarsi a casa le spese, come succede per moltissimi autori qui da noi.
La cosa davvero triste, secondo me, è non essere letti. Credo sia la cosa che mi impaurisce davvero, alla fine, e i numeri sono scoraggianti (e ho un post in arrivo anche su quello).
Grazie di essere passato 🙂 A breve torno a trovarti a casa tua, appena ho un po’ di tempo, perché c’è un mondo di roba interessante da leggere e da commentare, nel tuo post di oggi e nei commenti in calce.
Daniele dice
Sì, concordo sulla paura peggiore: non riuscire a essere letti. In quel modo non puoi sapere come sei valutato.
Serena dice
Secondo me la concorrenza non è tanto nelle preferenze dei lettori: per esempio, io come lettrice sono onnivora, decisamente. Il problema è che c’è un limite ai libri che una persona riesce a leggere in una certa unità di tempo XD Io stessa, anche se vorrei leggere tutti, alla fine riesco a fare molto poco.
sandra dice
Non amo confrontarmi col mercato americano o comunque straniero: è un modo diversissimo. In Italia escono circa 150 titoli al giorno, comprese le ristampe dei classici ma rimane una grossa cifra dalla quale, pare ovvio, è difficile emergere, impossibile senza un ufficio stampa adeguato. Queste sono certezze che minano la voglia di scrivere talvolta, poi passa e ci si ributta nella mischia.
Serena dice
Il mondo anglosassone è praticamente un altro pianeta, siamo d’accordo, e loro sono tantissimi mentre noi siamo pochi e… speciali XD Però sono indicativi di molte tendenze commerciali, indicativi, appunto, non predittivi. Interessanti da tenere d’occhio.
A me è piaciuto tantissimo l’approccio di Howey nella gestione di tutta la faccenda di authorearnings.com; effettivamente, però, non so se in Italia sarebbe potuta nascere una cosa del genere. Basta leggere l’articolo di Chiara Beretta Mazzotta, quello che hai commentato anche tu, per rendersi conto di quante balle circolano, qua da noi: altro che “raccogliamo i dati, stiamo uniti, facciamo fronte comune”.
E sul buttarsi nella mischia… Non lo so, io non ci sono ancora entrata davvero e tutte queste cose, in realtà, le scrivo prima di tutto per me, per chiarirmi le idee e trovare coraggio. Vedremo.
Grazie di essere passata di qua :*