Disclaimer!
Questo articolo è un po’ deprimente. Però, se riuscite ad arrivare in fondo, poi si comincia a vedere la luce.
Purtroppo non ho ancora finito con i numeri. Ci tengo a passarvi ancora qualche dato, anche se mi sento vagamente in colpa: sono consapevole che non diffondo belle notizie, e che un autore emergente può non essere particolarmente felice di sentirsi dire queste cose. Coraggio: anch’io sono una che scrive e che vorrebbe essere letta. Quando scrivo parlo a voi, ma prima ancora a me stessa. Certo, io per carattere preferisco una brutta verità a una bugia bene infiocchettata, mentre altri preferiscono semplicemente non sapere. Ma queste riflessioni hanno degli indubbi risvolti positivi. Per esempio, mi danno la misura di cosa posso o non posso aspettarmi. Mi evitano di perdere tempo sbattendo la testa contro un muro. Mi rendono consapevole di quanto sia dura la battaglia, e di come devo valutare, di conseguenza, la sconfitta o la vittoria.
Sconfitta e vittoria siamo noi a stabilirle.
Questo sia ben chiaro: chi scrive per essere letto, di questi tempi, farebbe bene a rispondere alla domanda Che cosa è, per me, il successo? Voglio vendere 10.000 copie nella prima settimana di pubblicazione del mio libro? Voglio stampare 100 copie del mio romanzo e regalarlo ad amici, parenti e vicini di casa? Voglio scrivere la storia della mia vita per i miei nipotini? Avendo chiaro il mio obiettivo, potrò rifletterci su confrontandomi con i dati di realtà, e fare poi le scelte necessarie a conseguirlo. Quale sia il modo corretto di porsi degli obiettivi è un tema importante e meriterà un post a parte. Per ora, limitiamoci a tenere presente che i dati di realtà servono a stabilire obiettivi intelligenti. Qual è, per chi scrive nel 2015, un obiettivo intelligente?
Inchiostro (molto) antipatico
Paolo Bianchi è uno scrittore e giornalista che ha all’attivo quattro romanzi , svariati saggi e più di una collaborazione giornalistica, la più recente e continuativa delle quali con Libero. Nel 2012 ha pubblicato, per i tipi di Bietti, “Inchiostro antipatico – Manuale di dissuasione dalla scrittura creativa”, un saggio nel quale non ci risparmia davvero niente. Il titolo è parlante, i contenuti sono accurati, i numeri …spietati.
“Qualcuno ha calcolato, con un ampio grado di verosimiglianza, che se da questo momento in poi non venisse più pubblicato niente, un lettore che legga quattro libri alla settimana impiegherebbe duecentocinquantamila anni per affrontare tutti i libri già scritti”. Nel nostro Paese, come nel mondo, i libri pubblicati sono tanti, forse troppi. I lettori pochi, desolatamente pochi. Eppure la gente continua a scrivere ed è disposta a tutto pur di farsi pubblicare. Perfino pagare cifre cospicue per uno dei numerosissimi corsi di scrittura creativa, perfino farsi “spennare” da sedicenti case editrici a pagamento. Nel tentativo (consciamente vano) di dissuaderci dalla scrittura, Paolo Bianchi ci disvela con esempi, statistiche, aneddoti e citazioni una realtà – quella dell’editoria – ambita quanto ignota, con i suoi meccanismi nascosti, le trappole e le insidie.
Questo recita la sinossi. Bianchi svolge il suo tema sostenendo le proprie affermazioni con ricerche ed interviste a gente che “ne sa”. Per esempio, c’è un bel capitolo dedicato ad una chiacchierata con Giuliano Vigini, fondatore della Editrice Bibliografica, docente di Sociologia dell’Editoria Contemporanea alla Cattolica di Milano. È il signore che tiene la rubrica settimanale I numeri (appunto) sul Corriere della Sera. Da questa ed altre fonti dello stesso peso, Paolo Bianchi parte per la sua esplorazione del panorama editoriale italiano svelandone i retroscena, le regole non scritte ma ferree che i talenti veri, certo, possono violare; e siccome tutti sono convinti di essere dei talenti veri, tutti sono convinti che per loro le regole non valgano. Nemmeno le leggi di mercato:
[…] l’offerta supera a tal punto la domanda che i prezzi diminuiscono, sfondano la soglia dello zero, e chi scrive desidera a tal punto essere letto che è disposto non solo a non farsi retribuire, ma addirittura a pagare in prima persona. Tutto il meccanismo dell’editoria a pagamento in fondo ruota intorno a questo concetto, che è a sua volta derivato da una premessa inquietante. “Chi desidera essere letto supera di quindici o venti volte il numero di coloro che leggono. Per ogni libro effettivamente letto ci sono da quindici a venti manoscritti in attesa di venire pubblicati. E qualcuno lo sarà, ma vedremo in quali forme.”
Non si parla solo di numeri e quote di mercato, nel libro: c’è tutto un bestiario di fenomeni umani legati all’industria dello sfruttamento degli aspiranti scrittori. Vi si tratta di coloro che truffano gli autori spacciandosi per editori*, di scuole di scrittura da un miliardo di paperdollari, di premi letterari tanto farlocchi quanto famosi. Il mio consiglio è di comprare il libro, che costa poco, dare una lettura approfondita e, se ancora non basta a purgarci dalle illusioni, tenerlo sul comodino e rileggere qualche passaggio ogni tanto (io ce l’ho su Kindle e lo consulto spesso. Delle due recensioni che ci sono su Amazon, una è la mia).
Non mi risulta che, dal 2012 ad oggi, la situazione sia migliorata.
I tentativi falliti di Erri De Luca
Una cosa che mi ha fatto sorridere è che Paolo Bianchi non è il primo scrittore che cerca di dissuadere gli altri dalla scrittura. All’inizio del suo libro, nel secondo capitolo, cita dei brani di Luciano Bianciardi e Mario Desiati sulla follia dello scrivere, e poi parla di questo libretto di Erri de Luca intitolato “Tentativi di scoraggiamento (a darsi alla scrittura)”. Sono meno di quaranta pagine che contengono una serie di consigli a una persona giovane che mi chiede notizie circa la propria spinta a scrivere. Mi rivolgo a lei, a chi mi ha scritto invano e a chi, malgrado tutto, continuerà a farlo.
Sulla quarta di copertina del libretto di De Luca c’è scritto:
Questa lettera non indica una direzione e non fornisce equipaggiamento. È un tentativo di scoraggiamento a darsi alla scrittura. Potrà essere scarica micidiale per l’incerto o cartucce a salve per l’ostinato. E se scoraggia solamente un poco, mi scuso di non poter distogliere di più.
Il testo include consigli a tutto tondo sull’esperienza dell’aspirante scrittore; si parla anche di quelli che fingono di pubblicarti un libro chiedendoti dei soldi in cambio**, e anche di una sana forma di Self Publishing:
…non ricorrere alla lusinga di chi ti pubblica, sì, ma a spese tue. Non farà niente di promesso, ufficio stampa e distribuzione, in più dopo un annetto si rivolgerà a te per chiederti se intendi acquistare l’invenduto che altrimenti manderà al macero. Piuttosto procurati una tipografia, fanne tirare qualche centinaio di copie e distribuiscitele in proprio tra conoscenti. È semina.
Se dopo tutto questo rimanesse ancora, in qualcuno, la voglia di fare lo scrittore, o anche solo di definirsi scrittore, consiglio la lettura di “E così vorresti fare lo scrittore”, di Giuseppe Culicchia. Lo presento con le parole dell’autore:
“E così vorresti fare lo scrittore” è una sorta di guida a cosa gira intorno al mestiere di scrivere, passando per tutte le tappe che costellano la nascita e poi il consolidamento di uno scrittore: dalla correzione delle bozze al rapporto con l’ufficio stampa, dalla realizzazione della copertina alla costruzione del caso letterario, dalla prima presentazione in pubblico al dorato mondo delle Lettere italiane. Può darsi che ti possa tornare utile il giorno in cui sarai tentato/a di dire, alla tua prima intervista, che l’ispirazione ti arriva direttamente dal Cielo. Perché c’è chi lo dice, e con l’aria di crederci sul serio.
Il ghiaccio, gli Esquimesi e la verità in fondo a tutto
Quindi non c’è molto da stare allegri. La situazione del mercato si può spiegare facilmente con la similitudine del vender ghiaccio agli esquimesi, ma in realtà è molto, molto peggio, se ne chiacchierava su Facebook un paio di settimane fa. Il problema è a monte: nei numeri di chi legge e in quelli di chi scrive. Non è solo difficile/impossibile vendere libri, è sempre più difficile semplicemente farsi leggere, anche gratis, causa offerta mostruosamente più alta della domanda. È come andare al Polo Nord a metter su un banco di vendita del ghiaccio insieme a centinaia di altri banchetti, che vendono tutti ghiaccio. Poi i venditori di ghiaccio si assaggiano il loro ghiaccio tra loro e dicono “il tuo è davvero buono, complimenti, anche il tuo non è male”. Si incoraggiano l’un l’altro a continuare a proporre il loro ghiaccio… e gli esquimesi quasi non lo vogliono neanche regalato, perché ne hanno già a montagne e non sanno più dove metterlo.
E allora perché non smettiamo? Perché non lasciamo perdere? Siamo creature che, di solito, sono attirate ed incentivate dal guadagno. Dal tornaconto, non necessariamente economico. Dai vantaggi. A nessuno piace farsi del male, giusto? Una volta tolti gli occhiali rosa, perché continueremo – io per prima – a scrivere? Solo per vanità? Non credo: le legnate sui denti fanno male e fanno passare in secondo piano ogni velleità di ostentazione. E poi, perché loro, quelli che scrivono libri di dissuasione dalla scrittura, continuano a scrivere? No, non è solo perché loro sono pubblicati e noi no. O meglio: forse sì, è anche per quello, ma a ben scavare nei loro libri si trova qualcos’altro. Si trova la verità, la ragione ultima. Che non ha niente a che fare con l’essere pubblicati o con il guadagnarci dei soldi.
Scriviamo perché scrivendo siamo creativi. Scriviamo perché quello è il modo in cui si esprime, per noi, il fatto di essere vivi.
Tant’è vero che a me, proprio a me – Serena (quella che si è impegnata tanto per raccogliere i numeri del mercato e raccontarveli) a me dei numeri alla fine non frega proprio niente. Non cambia la realtà delle cose: che continuerò a scrivere finché proverò piacere nel farlo, per me stessa – i diari, le lettere a me stessa – o per essere letta da altri. E ne provo parecchio, di piacere, a lasciare che le dita scorrano sulla tastiera. E sono anche convinta di tre cose: la prima, è che ho più probabilità di essere spettinata da una cometa in caduta libera che di campare di scrittura. La seconda, che è possibile ancora divertirsi, essere letti, usare la propria voce ed essere ascoltati. La terza, che il Self Publishing è una via percorribile. Una via che ci costringerà ad avvicinarci ai lettori, come si diceva qui, nei commenti, e che quindi forse, alla fine, contribuirà a rinsaldare il legame tra chi ama leggere e chi ama scrivere.
Concludo prendendo in prestito le parole di Hugh Howey, ancora una volta: sono state scritte alla fine di un bellissimo articolo all’inizio di quest’anno.
And if you see people losing hope, remember that we are a storytelling animal. We will always want to tell stories, and there will always be billions of people willing to pay to have great stories told to them. Nothing will change that. There will always be a viable market for this trade. It’s just that our opportunities for making a living at this will never be chiseled in stone. We will come and go. I not only expect this, I celebrate it.
Happy New Year. Tell awesome stories.
E se vedete persone che perdono la speranza, ricordatevi che siamo un animale narrante. Avremo sempre bisogno di raccontare storie, e ci saranno sempre miliardi di persone pronte a pagare perché gli si raccontino belle storie. Niente potrà cambiare questo fatto. Ci sarà sempre un mercato disponibile per questo commercio. Semplicemente, le nostre possibilità di guadagnarci da vivere con esso non saranno mai scolpite nella pietra. Appariremo e spariremo. Non solo me lo aspetto, ma lo celebro.
Buon anno. Raccontate bellissime storie.
Avete mai definito con precisione che cosa è, per voi, il successo come scrittori? Provate a rispondere a questa domanda: “Potrò dire di avere raggiunto il successo, quando… “
A voi la parola.
Note
*Ho deciso che la E di EAP è fuorviante. La parola editoria non sarà magari pulitissima, di questi tempi, ma non c’entra niente con il tipo di mestiere che fanno questi signori. Li chiamerò IIT, Inutili Intermediari Truffaldini. Mi sembra più appropriato.
**Si parla ancora di IIT
*** Nel prossimo articolo, basta numeri: si passa all’azione.
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Daniele dice
Sono capitato qui per caso, e sono uno scrittore non-scrivente, cioè ‘scrivo’ vivendo normalmente la mia vita, senza scrivere nulla perchè sarei comunque uno scrittore incapace. Sapete cosa penso? E’ un caso che sto leggendo tutti i romanzi e racconti di Emilio Salgari? Mi sto divertendo come un pazzo, che stile e che scrittura potente aveva il nostro caro Salgari.. E per forza, forse ci siamo dimenticati di dire che lo scrittore che ha successo, ha anche tanto, tanto talento! E di talento in giro ne vedo gran poco .. Se poi penso che il nostro povero Emilio, nonostante entusiasmasse infinite platee di lettori in mezzo mondo, veniva pagato una miseria, beh possiamo dire che c’è poco da lamentarsi a voler fare gli scrittori! Meglio che torni a lavorare vah, grazie per l’ospitata. Buonanotte a tutti.
Serena dice
Ciao Daniele, ben arrivato 🙂
Salgari è emblematico della vita dello scrittore. Anche a me piace tanto, e se pensiamo che ha narrato di paesi lontani ai tempi in cui Google non era nemmeno un sogno… Beh, una bella lezione per tanti scribacchini di oggi, me compresa. Tutto quello che ha saputo darci ce l’ha dato solo con la potenza della sua scrittura, e non è poco.
Comunque se ti definisci “scrittore non scrivente” vuol dire che una mezza idea di buttar giù delle parole ce l’hai anche tu… Io direi che se non l’hai ancora fatto dovresti provare 🙂
Grazie del commento, spero di leggerti ancora.
Daniele dice
Noooooo, scrivere qualcosa io? Diventerei uno ‘scrivente non-scrittore’, il peggio che possa esistere nel misterioso mondo della letteratura! .. Grazie per l’invito, Serena, ma credo che sia molto più facile fare il ‘vivente che scrive con la vita’ piuttosto che lo ‘scrittore che scrive veramente’, mestiere diffficiliissimo. Intanto ti ringrazio di cuore perchè non credevo che una ‘vera scrittrice’ potesse rispondere a un ‘vivente che scrive con la vita’ come me. Mi hai fatto felice, mi sono divertito molto a leggere la tua risposta, e un pò hai scompaginato le mie credenze sugli scrittori. Bene! Sai cosa penso adesso? Che lo scrittore (come te ad esempio) faccia bene il suo lavoro di scrittore, e il cameriere faccia bene il suo lavoro di cameriere, la ‘Star’ faccia bene il suo lavoro da Star, sempre col massimo impegno, e soprattutto senza montarsi troppo la testa, e l’assistente faccia per bene il suo lavoro di assistente, altrimenti la Star farà brutta figura, il conducente conduca bene, altrimenti il pubblico non potrà vedere la Star, la donna delle pulizie pulisca sempre per bene, altrimenti la Star inciamperà sul palco, e i ‘viventi che scrivono con la vita’ come me continuino a vivere… E il mondo sarà migliore!! Ha ha! Un caro saluto Serena, le nostre menti si sono incontrate solo per un attimo, ma ora tutti torneranno a fare bene quello che .. saremmo tenuti a fare sempre per bene! E il mondo sarà migliore! (AAAHrggghhh l’avevo già dettooo!!!!!) Ciaaaao!
Serena dice
Sei forte, Daniele XD Comunque io non sono una scrittrice professionista, nel senso che non campo di quello. Sono solo una persona che ha avuto la fortuna di scrivere, essere letta ed entrare così in relazione con altri esseri umani.
Comunque il tuo punto di vista ha indubbiamente il suo perché!
Torna a trovarmi quando vuoi.
Marco amato dice
Ciao Serena, io non sono d’accordo, ma io di solito vado sempre controcorrente, il post non è per nulla deprimente.
Quando si affronta una realtà, o in questo caso un mercato, è sempre meglio avere le idee chiare, anziché vivere di abbondanti e inutili illusioni. Le illusioni non servono a nulla. Io in altri commenti, su altri blog, in tempi più o meno passati, ho accennato che in realtà l’avvento del self publishing (in questa sua forma moderna) è un’opportunità straordinaria, tanto straordinaria da poter permettere di vivere di scrittura senza avere la grazia di scrivere un best seller. Ho smesso di dirlo perché francamente essere preso per pazzo, o proprio per illuso, non è che sia gratificante.
Eppure le mie affermazioni traggono origine proprio dal fenomeno americano del self (avviene questo in centinaia di casi, o forse migliaia, basta anche vedere i dati sulle royalty di Amazon di Howey dove iself superano i big five dell’editoria Usa). Ma tra l’altro le mie affermazioni traggono il fondamento da semplici calcoli economici alla portata di excel, o per i romantici, di calcolatrice. Mi fa piacere che riesci con questi post a smuovere il velo della nostra arretrata inadeguatezza. 😉
Serena dice
Vabbè, confesso XD Confessione Uno: sono rimasta un po’ male che l’articolo non fosse molto commentato. Secondo me sapere in che contesto ci si muove è fondamentale, anche se può essere spiacevole, Che poi… appunto, come dici tu, la conclusione è che le cose cambiano, ma scrivere e farne qualcosa di importante è ancora possibile, e il self publishing sarà sempre più LA via. In un mercato in crisi si accorcia la catena distributiva… e che cosa è mai il SP se non la fine dell’intermediazione?
Confessione Due: questo tuo commento mi ha consolata molto. Grazie di cuore 🙂
Marco amato dice
Stasera rientrando a casa dopo una giornataccia ho scritto questa nota: “Ricorda troverai sempre qualcuno disposto a non credere in te.”
Non so se c’entra qualcosa col tuo post, ma io mi son preso il post-it e l’ho attaccato accanto al monitor. Certi trofei vanno conservati, per tenere in mente chi siamo. 😉 Quindi non ti abbattere se un bel post come questo non viene compreso, sei in gamba e questo vale.
Serena dice
Ciao Marco,
credo che mi farò anch’io un post-it così 😉 Pensavo, anche, che succede perfino questo: che magari a volte sono gli altri che credono in noi, e noi invece no. Siamo bravissimi a boicottarci, quando vogliamo.
E niente… Credo ci sia una sola parola che ti posso dire adesso ed è “grazie”, con tutto il cuore. Spero di continuare a produrre roba decente, poi decente o meno io ci metto sempre il cuore. Grazie :*
animadicarta dice
Ciao Serena, sono approdata da poco al tuo blog ma lo trovo già ricchissimo di cose interessanti, quindi prima di tutto complimenti.
Sono più che d’accordo con le tue conclusioni: al di là di tutti i dati sfavorevoli e di una realtà ostile, ciò che ci fa continuare è il bisogno interiore di scrivere.
Dopo tanti anni di scrittura con i suoi alti e bassi, mi sono formata un’idea di successo e cioè semplicemente riuscire ad arrivare ai lettori, a farmi leggere, non importa da quanti né in che modo, se con l’editoria tradizione o il self. Anzi, ultimamente propendo per questa seconda soluzione…
Serena dice
Ciao cara, benvenuta e grazie! Questo complimento fatto da te ha un valore speciale 🙂
Anche per me la cosa fondamentale è farsi leggere. Farsi leggere E saperlo, che ti leggono. Serve che qualcuno ti scriva e te lo dica, che la tua storia gli ha fatto bene, gli ha illuminato la giornata, gli ha mostrato le cose da un nuovo punto di vista. Questa cosa mi manca tanto e la vorrei ritrovare. Credo sia fattibile, e Internet in questo ci permette di essere creativi. Non c’è solo la pubblicazione tradizionale o self, c’è il Web con tutte le sue risorse. Io ci sto riflettendo su, moltissimo, sto (forse) cambiando idea su cosa fare del mio WIP, che è quasi finito, e ho tutti i dubbi del mondo.
Si farà comunque fatica e vincerà chi resiste sufficientemente a lungo. Ho letto da qualche parte che (se non ricordo male) il 70% dei blog che vengono creati non va oltre il quarto post: bene, vuol dire che non tutti hanno la grinta per resistere, come dici, tra gli alti e bassi.
Siamo qui per correre la maratona, non i 100 metri, diceva qualcuno. Anche se la botta di *ulo fulminante dei 100 metri non farebbe mica schifo, eh XD
Marco Freccero dice
Kevin Kelly dice che un artista oggi ha bisogno di “solo” 1000 veri fan per vivere della propria arte. Il problema è: come raggiungere quella cifra? A me ne basterebbero 500, anche perché al momento è difficile pensare di raggiungere traguardi più ambiziosi. Quindi per me il successo è (sarebbe) avere 500 fan.
Poi mi dico che se non si è folli e ambiziosi non si riuscirà nemmeno ad averne 100. Forse il successo è avere un’ambizione smisurata, da pazzi, e fare qualunque cosa per conseguire i propri obiettivi. Come? Purtroppo non esiste alcuna ricetta.
Serena dice
Ciao Marco, mi daresti il link di quell’articolo? Mi piacerebbe leggerlo. C’è anche questo qui che è carino da leggere:
Ed ecco la parte migliore: non devo essere un’autrice bestseller per guadagnare in modo decente. In passato, se avessi desiderato rimanere a casa e scrivere libri a tempo pieno, avrei dovuto sperare di vendere i miei libri a migliaia di persone. Ora, posso guadagnare decentemente vendendo nell’ordine delle centinaia. E qualche centinaio di persone è fattibile. Ci potrebbe volere del tempo per arrivarci – io ho pubblicato la mia prima storia su Amazon nel 2009, quindi è il quinto anno che ci lavoro – ma è fattibile.
(la traduzione non è per te, lo so che leggi l’inglese 🙂 , ma giusto se qualcuno che non lo conosce passasse di qui)
…e lo so che per noi è ancora peggio, perché il nostro mercato è molto più ristretto. Però penso anch’io che sia fattibile. Non da tutti, ma fattibile.
Mi sono auto-depressa un pochino, con questo articolo, e probabilmente ho depresso altri: vi siete fatti sentire solo tu e Maria Teresa XD Però, non è peggio non sapere a cosa si sta andando realmente incontro?
(e grazie per essere passato 🙂 )
Marco Freccero dice
L’articolo è qui: http://kk.org/thetechnium/2008/03/1000-true-fans/
Il tuo link invece non funziona 🙂
Serena dice
Scusa, ho fatto una scemenza io. Adesso va 😀