Non so se il mio amico C. sia ancora da queste parti. È un po’ che non lo sento, e non vorrei averlo depresso con il mio ultimo articolo. D’altronde non so che farci, sono fatta così: gli unici calcoli che so fare sono quelli con carta e penna e/o calcolatrice e/o foglio Excel. Le cose che devo dire le dico, anche se non piacciono, quando riguardano dati di realtà che possono nuocere a chi li ignora.
Magari nemmeno questo articolo gli piacerà. C. ha una forte resistenza verso il Self Publishing: pur essendo una persona intelligente, abile e pronta a farsi un fondello così per continuare ad essere uno scrittore, ritiene che l’occuparsi della parte tecnica e commerciale della pubblicazione gli farebbe andare in odio tutta la faccenda. Vede l’editoria tradizionale non solo come un valore aggiunto (e ci può anche stare) ma anche, purtroppo, come una forma di tutorship, il che a mio parere non è un vantaggio. Gli ho fatto gentilmente notare che il suo primo editore era un IIT*, e gli altri due per lui non hanno fatto niente di più di quello che avrebbe potuto fare lui stesso, ossia mettere online un file .epub con una copertina decente; anche questo argomento non ha attaccato.
Ho il sospetto che la vera resistenza di C. abbia più a che fare con l’essere convalidato come scrittore da una “vera casa editrice”. Di questo non abbiamo ancora parlato approfonditamente a quattr’occhi, il tema mi sembrava delicato e lui non mi sembrava pronto. Ma è ora di tirarlo fuori. Spiegami, amico mio: in un mondo in cui gli editori, anche i grandi, hanno l’enorme problema di far quadrare i conti a tutti i costi, e per questo non pagano i loro collaboratori e non pagano gli autori, da dove nasce la tua convinzione che avranno un occhio di riguardo per te, emerito sconosciuto? E se quello che ti interessa è avere l’Investitura A Scrittore: non ti urta il fatto che, assieme a te, risulterebbero Scrittori Investiti anche gli autori di schifezze vergognose? Non parlo di opere di genere (non sono così snob), ma proprio schifezze, eh. Libri BRUTTISSIMI. Oppure mal tradotti, pieni di refusi e con copertine orripilanti.
Ma il discorso ci sta portando fuori strada. Io, oggi, non voglio dirti di lasciar perdere l’editoria tradizionale e dedicarti solo al Self Publishing (anche se è quello che probabilmente farò io: continuo a non vedere il vantaggio di tentare la sorte con un editore, di questi tempi, ma magari sono io che sono scema). Di editori seri in giro ce ne sono ancora, mi dicono. Non sono altrettanto sicura che esistano editori che non sono in crisi, ma magari sono male informata. Quello che vorrei fare, comunque, è solo questo: convincerti a non escludere a priori di pubblicare i tuoi libri da solo.
(Premessa: mi rivolgo ad un autore che desideri pubblicare un prodotto di qualità e lavori per il lungo periodo. Chi pubblica schifezze da una botta e via, giusto per fare cassetta, non troverà interessante quello che c’è scritto qui sotto)
Il Self Publishing è una grande opportunità perché:
Hai il controllo totale sulla produzione delle tue opere.
Non devi riscrivere intere parti del tuo romanzo per farlo entrare a calci in un genere, per esempio. Inserire una scena di sesso perché così venderai di più. O accettare una copertina che ti fa schifo, o un titolo che secondo te non c’entra con la tua storia. Farai esattamente come preferisci. E se le cose non funzioneranno, potrai sempre cambiarle in corso d’opera.
Hai il controllo totale sui diritti delle tue opere.
Puoi decidere tu cosa farne. Non ti interessa? Ti racconto solo questo: un bel dì lontano, J.K Rowling ha trattenuto i diritti di pubblicazione delle sue opere in digitale, e poi ha creato Pottermore. Di quello che ha fatto Hugh Howey con i suoi, di diritti, ho già parlato qui.
Premesso che vendere libri è un’incognita per tutti, a parità di copie vendute guadagni di più come self.
Se fai tutto tu, ti resta in tasca il 100% del tuo guadagno ante imposte, da cui devi togliere le tue spese (ne parliamo tra un attimo). Il tuo punto di pareggio, o break even point, varierà a seconda del prezzo di copertina, delle copie vendute e dei costi iniziali sostenuti. Un articolo interessante su questo tema lo trovi qui.
Poniamo invece che tu non abbia voglia di imparare come si pubblica direttamente sui grandi shop online (Amazon, Kobo Writing Life, Smashwords ecc.): puoi utilizzare una piattaforma di autopubblicazione tipo Narcissus, che fa il lavoro di dettaglio per te, e in quel caso ti resterebbe comunque in tasca un ottimo 90%.* Questo genere di piattaforme ti offre anche un servizio di conversione files, se ti serve, e ti aiuta nella produzione della cover. I servizi aggiuntivi li paghi a parte, ovviamente.
*Errata corrige: Narcissus stessa mi ha segnalato l’errore. Loro si trattengono il 10% sul prezzo di copertina, è vero, ma poi ci sono le commissioni delle varie piattaforme dove pubblicano. Controllate il dettaglio qui per capire quanto vi resta in tasca (mi dicono 60%). Come sempre, devo dire, brillano per chiarezza e trasparenza.
Se pubblichi con un editore tradizionale, ti resta in tasca diciamo dal 15% in giù, a seconda delle circostanze. Le variabili sono costituite dalla tua notorietà o meno e dalla politica della CE.
Le spese iniziali
Bisogna precisare che, se sei un autore indipendente, sono a tuo carico il lavoro di revisione del tuo romanzo finito e la produzione di una cover adeguata. Per la copertina potrebbe darsi che tu abbia competenze specifiche e sia in grado di fare da solo, dico “potrebbe darsi” e non ne sono molto sicura. Per revisione ed editing non c’è scampo: devi farli fare a un terzo. I tuoi occhi non saranno mai, mai sufficientemente distaccati per valutare freddamente il tuo stesso lavoro. Gli occhi di parenti e amici non contano. Contano zero, null, nichts, nada. Se vuoi fare una cosa fatta bene devi pagare un professionista, e il costo di un editing professionale si può misurare anche nell’ordine delle migliaia di euro.
C’è un modo di risparmiare? Certo che sì. A parte il banale confronto di preventivi (passaggio che faresti per farti imbiancare la casa, quindi non vedo perché non per altri servizi) nel caso dell’editing, che è la spesa più ingente, c’è una bella fetta di lavoro che puoi fare da solo. Il lavoro che arriva in mano all’editor deve essere il migliore possibile che possa uscire dalle tue mani. Avrai già tagliato, da quel lavoro, le ridondanze, le parti inutili, gli avverbi di troppo (quasi tutti), gli aggettivi di troppo (quasi tutti), i refusi che sei stato in grado di vedere, gli orrori di grammatica. Un editor che deve lavorare su 300 pagine vomitate lì così, partendo da un editing strutturale a scendere, ti costerà un patrimonio. Un lavoro di revisione su un manoscritto già decente, magari ridotto alla metà, ti costerà molto meno. Quindi, scrittore, datti da fare: impara la tua arte. Leggiti dei buoni libri sull’editing e applica ciò che impari. Questo ti servirà anche quando dovrai scegliere, tra i professionisti, quello che fa al caso tuo.
Il costo di editing e cover va ovviamente tolto dai tuoi guadagni.Negli ultimi tempi, però, si ha notizia di richieste di contributo alla copertura dei costi iniziali anche da parte di CE tradizionali. Il mio amico C., come sapete, si è pagato un editing di tasca sua. 2.000 Euro, con un editor scelto da lui. Si tratta di editoria a pagamento? No, in effetti C. ha pagato solo quello, nient’altro. Come sempre, tra il bianco e il nero le sfumature sono infinite.
Tempi di attesa ridotti a quelli tecnici
Pubblicando da te i tuoi libri, quando sei pronto pubblichi e basta. Se lavori con una CE, può succedere che tu venga pubblicato anche dopo un anno. Decide la CE in base alle esigenze del proprio business. All’estremo, può accadere che tu ceda i diritti del tuo libro e che il tuo libro non venga mai prodotto. E tu non potresti farci proprio niente.
Controllo delle opportunità
Quando cedi i diritti della tua opera alla CE, li hai ceduti e basta. Vuoi trarne uno spettacolo per il liceo del tuo paese? Devi chiedere il permesso. Quando i diritti sono stati ceduti, il permesso lo devi chiedere per qualsiasi cosa.
Premesso che ognuno può fare quello che gli pare, e fare la scelta più corretta per sé, si evince da quanto sopra che molte delle obiezioni mosse contro il self publishing non reggono, oppure valgono anche per la pubblicazione tradizionale. Ma di questo parleremo in modo più approfondito nel corso di un prossimo articolo.
Resta il fatto che la vita dell’autore non è una vita facile.
Post Scriptum
Ho terminato la stesura di questo articolo venerdì sera, giurin giurella, e il sabato mattina mi sono trovata nella posta elettronica l’ultimo aggiornamento di Joanna Penn, intitolato Pros and Cons of being an Indie Author. Devono esserle fischiate le orecchie. Traduzione in arrivo a breve su questi schermi, perché ne vale la pena. Una cosa che mi piace ve la anticipo: l’uso della definizione “Indie Author” piuttosto che “Self Publisher”. Ne riparleremo.
Daniele, avevo promesso che sarei tornata a commentare questo tuo post: un commento non bastava, quindi ho scritto questo articolo 🙂 .
Note.
*IIT = Inutili Intermediari Truffaldini. Quelli che ti fanno pagare un sacco di soldi per stampare 1.000 copie del tuo manoscritto, le fanno comprare quasi tutte a te e riescono a farti credere che hai pubblicato un libro. Una volta definiti “EAP”, editori a pagamento, che però è una definizione fuorviante in quanto contiene una E che non c’entra niente.
E voi, a che punto siete sulla strada della pubblicazione? Pubblicati tradizionalmente, Self, Ibridi? E in futuro? Facciamo il punto della situazione?
Renato Mite dice
Ad essere sincero anch’io volevo la “convalida” di una casa editrice ma quando ho avuto fra le mani la prima copia del mio romanzo autopubblicato, non più. Nessuno può farti sentire uno scrittore o convincerti del contrario. Se sei uno scrittore, lo sei e basta.
Per l’immediato futuro, ho deciso di dare la possibilità agli editori di pubblicarmi e invierò loro i miei romanzi. La mia non è presunzione, so di essere un semplice scrittore e niente più, ma ho cambiato il modo di vedere la cosa. Se gli editori decidono di dare una possibilità ad uno scrittore quando pubblicano la sua storia, io ho deciso di dare una possibilità agli editori per valutare i miei scritti. Almeno per quanto riguarda il romanzo che sto scrivendo ora e se nessuno vorrà pubblicarlo, pubblicherò io. Nel futuro più lontano potrei anche decidere di pubblicare direttamente senza più far valutare agli editori, ma solo ai lettori. Spero sempre e comunque di far cosa gradita a questi ultimi.
Serena dice
Devo dire che il tuo cambio di punto di vista mi piace moltissimo! 😀
Però mi permetto di raccomandarti quello che raccomanderei a me stessa: sempre il parere di un terzo, meglio se professionista. Editing professionale. E copertina di qualità 🙂 Sempre, sempre e sempre. Se i lettori diventano i veri giudici della validità del nostro lavoro, meritano il massimo della qualità, e soprattutto nel caso dell’editing non si può fare da soli.
(PS, non mi sono dimenticata, sono solo super-incasinata!)
Renato Mite dice
Sono d’accordissimo che i lettori meritano il massimo della qualità, sono il primo ad esigerla da me stesso.
La copertina del prossimo romanzo la farò disegnare da un professionista, le mie velleità grafiche si sono esaurite con la copertina di Apoptosis proprio per farla come volevo io e con la migliore qualità.
Non vedo di buon occhio l’editing fatto da altri, preferirei di gran lunga l’intervento di un semplice professionale correttore di bozze. L’editing devo farlo io in quanto scrittore, come il pittore che dipinge o l’artista che scolpisce porta a compimento la sua opera. Non credo che Michelangelo dovesse ricorrere ad un editor che gli dicesse se nella Pietà il capo di Cristo doveva essere più o meno inclinato, più o meno sofferente. Di nuovo, non pretendo di essere al pari di Michelangelo, lo disturbo solo a puro titolo di esempio. Ricorrere ad un editor per trovare le mancanze logiche o i vuoti etc. mi sembra voler far fare parte del mio mestiere ad un altro e di conseguenza mi sembra di essere uno scrittore a metà. Questo è il mio parere personale e non si offendano gli editor o chi se ne avvale.
(PS: so che non dimentichi, e posso immaginare quanto sei incasinata)
Serena dice
Io sono convinta che avvalersi di un occhio professionale, che guardi il nostro lavoro da una certa distanza, sia una tappa obbligata. Però a questo punto credo che ci scriverò su un post! Preparo subito la bozza per non dimenticarmelo 😉
Grazia Gironella dice
Sono molto interessanti questi tuoi approfondimenti sul discorso self-publishing. Non escludo di ricorrervi, se non riesco a combinare qualcosa di buono con l’editoria di serie A. Quelle di serie B, C e così via, purtroppo – lo dico senza voler offendere nessuno – per l’autore sono un risultato quasi nullo. La promozione è assente, le vendite dipendono quasi esclusivamente da quanto l’autore si dà da fare per farsi conoscere… beh, a queste condizioni andrei sulle mie gambe. 🙂
Serena dice
E certo, cavolo. A parità di fatica, almeno ti resta in tasca qualcosa di più.
Come dicevo sotto ad Antonella, secondo me tu con la tua esperienza e i tuoi libri finiti potresti perseguire tranquillamente un sentiero misto, con buoni risultati (metterei solo una bella pagina-vetrina con i libri tutti insieme, con le foto delle copertine grosse e centrali, sul tuo sito. E mi comprerei un bel graziagironella.com, credo. Che ne pensi? 😀 )
Grazia Gironella dice
Penso che sì, sarebbero due modifiche opportune. Grazie per i suggerimenti, potresti farmi da consulente! 🙂
Serena dice
Più che volentieri <3 Non sono una professionista, però studio le cose che mi servono e le condivido volentieri. Mi mandi una mail e mi dici cosa ti serve? 🙂
Grazia Gironella dice
La mia era solo un’ipotesi per il futuro, ma ti ringrazio già da subito. 🙂
Serena dice
Carissimi, grazie per tutte queste testimonianze. Scusate se non ho ancora risposto ma verso fine mese sono sempre super-incasinata con il lavoro, mi saltano anche le pause. Torno appena riesco, forse anche questa sera, con l’attenzione che meritate.
A prestissimo.
Marco Freccero dice
Io self-publishing, in passato e prossimamente. Ormai non spedisco più niente a nessuno, tanto buona parte dell’editoria ti prende in considerazione solo se riesci a realizzare dei numeri importanti. L’altra parte dell’editoria mi snobba perché non gli piaccio, non sono abbastanza bravo, oppure perché hanno gusti particolari. Pazienza.
Serena dice
Lascialo dire ai tuoi lettori, se sei abbastanza bravo oppure no 😉
Daniele dice
Ci sono pro e contro, alla fine. Io ancora non pubblico nulla, ma come dico sempre vorrei tentare entrambe le strade. Me la sto prendendo comoda, anche perché in questo periodo ho troppi pensieri per poter rendere come narratore.
Serena dice
Sintetico ed efficace come sempre. L’importante è essere consapevoli, non mitizzare una strada demonizzando l’altra, e non farsi del male con aspettative esagerate.
Tenar dice
Sono capitata qui per caso e ho trovato un post interessate e ben argomentato. Anch’io, però, come Sandra mi sento di non sconsigliare a prescindere la via dell’editoria tradizionale. Quando funziona e l’editore è serio c’è professionalità e promozione, qualcuno che si occupa sempre del tuo libro, anche quando tu sei a mille miglia mentali da lui. Tra un editore e un autore c’è il contratto. Leggendo bene e, se il caso, discutendo i singoli punti, si stabilisce quando si viene pagati, con che percentuale e cosa avviene per i diritti sull’opera e quelli accessori (ad esempio si può cedere i diritti per il cartaceo e tenersi quelli per l’e-book, stabilire bene cosa accade per le trasposizioni e così via). Tra l’editore e le librerie ci stanno i distributori e non è difficile scoprire se quello del nostro editore è serio oppure no.
Io ho paura che, autopubblicando, mi potrei perdere nel mucchio. Mi sento rassicurata quando entrando in una libreria vedo il mio romanzo o altri dell’editore e so che l’e-book è disponibile su tutti gli store on-line nei più svariati formati. L’editore guadagnerà più di me, certo, ma io da sola non potrei farcela, non così, almeno. Forse è anche una questione caratteriale e ogni autore deve capire quale esattamente sia la sua strada senza demonizzare le altre.
Serena dice
Ciao Antonella, grazie per essere passata, benvenuta
Ma infatti, io non credo che le due strade siano necessariamente aut-aut. Sapere come stanno le cose, informarsi, serve per distinguere appunto un editore serio da un mezzo farabutto. Poi, una volta scartati i farabutti, si può decidere come muoversi in base alle proprie esperienze, esigenze, anche in base al proprio carattere. Si resta comunque padroni del processo quando si decide consapevolmente e quando c’è chiarezza tra le parti.
La tua paura di perdermi nel mucchio ce l’ho anch’io. Anni di lavoro, magari, e poi ti legge una manciata di persone. Ma succede anche se sei pubblicato tradizionalmente, né più né meno: il problema è lo stato del mercato, non il metodo di pubblicazione. Ancora una volta però concordo su questo: la differenza la fa il fatto che il libro cartaceo sia nelle librerie oppure no. Per quanto riguarda gli ebook, la differenza tra self e trad io non la vedo proprio. E per quanto riguarda la qualità, io lettore posso scaricare l’estratto e decidere cosa comprare, e non me ne frega niente di come è pubblicato, ci sono degli studi che dimostrano che a fronte di una bella cover e di un testo di qualità il lettore non distingue più, o distingue sempre meno.
Sai che penso? Che per autori che hanno già dei libri pubblicati, come te e anche Grazia e Sandra, un via “mista” sarebbe l’ideale (sempre compatibilmente con le scelte e i gusti personali, ovvio) e permetterebbe di sfruttare tutto il proprio lavoro, anche quello che magari non ha reso come si sperava con la pubblicazione tradizionale, o non è compatibile con le scelte economiche di una CE, per qualsiasi ragione, anche solo per i gusti attuali del mercato.
sandra dice
In definitiva, anche considerando gli interessanti commenti sopra, io non mollerei il tentativo di affidare il testo a una casa editrice di comprovata serietà, ce ne sono, la vera sfida è stanare chi non paga i diritti, non distribuisce non, non, non prima di cascarci E MAI CEDERE I DIRITTI per un periodo di troppi anni. Io l’ho fatto, per cui non sto dando lezioni tipo “ah come sono brava!” ma proprio il contrario NON FATE COME ME, la mia esperienza utile è da – per chi mi conosce – “Ragione e pentimento” in avanti, il resto: passi falsi verso il baratro, mi dico comunque brava per essermi rialzata ed essere ripartita con maggior consapevolezza, quella che oggi mi sta dando soddisfazioni, e comunque sì, occorre lavorare tanto e non sempre basta.
Serena dice
Io credo che la casa editrice seria sia sicuramente una strada percorribile, se hai la fortuna di trovarla. Però non starei seduta ad aspettarla, ecco. Potrebbe non arrivare mai.
Sandra, tu sei ispirante, comunque.
Marco Amato dice
Ottimo Serena. Hai letto l’articolo di venerdì di Howey? Il semplice: Renting vs. Owning.
Il problema dei diritti per me è un nodo essenziale. Probabilmente è il più sottovalutato da chi brama d’avere a tutti i costi un editore.
Il pensiero di dover cedere i diritti a un soggetto terzo che potrà fare quello che vuole della mia creatura, a me mette i brividi. Perché lasciamo perdere il grande editore o il medio buono (e anche su di loro ci sarebbe molto da dire) ma il mondo dell’editoria è pieno di editori che non conteggiano correttamente le vendite (furbetti eh?) che non pagano (e di norma si paga lungo 12/18 mesi, e devi aspettare tale tempo per comprendere che ti sta fregando) che non fanno promozione adeguata (o non la fanno proprio sperando nei contatti social dell’autore… e di recente in tal senso ho letto un articolo AGGHIACCIANTE) che non hanno distribuzione in libreria (certo su prenotazione. Per la serie aspetta e spera che il lettore fra migliaia di autori cerca e desidera solo te).
Poi l’editore sceglie la copertina e il titolo. Se ti mette una cover insulsa che ti vergognerai per tutta la vita, pazienza, è competenza sua . Le belle notti e i giorni a scrivere e pensare al libro come a una cosa tua, sono soltanto l’incubo di un ricordo.
E se l’editore decide di non distribuisce più il mio libro? Ti rifugi in un angolo e piangi. I diritti li hai ceduti per 5 o 10 anni e per tutto questo tempo il libro non sarà più tuo.
La trama non ha funzionato? Hai una nuova idea su come rilanciarlo? No, caro, non puoi nemmeno modificare una virgola che ti fa causa l’editoruccio tuo.
Io, anche se riuscissi a scrivere un libro decente, difficilmente pubblicherei con un editore. Proprio perché richiederei clausole impossibili da ottenere. Cose assurde tipo rescissione del contratto se l’editore non paga o se il libro non viene più distribuito. Chiederei il minimo sindacale di giustizia. Ridammi i miei diritti e la chiudiamo qui. Ma nessun editore, dalla bontà sua, amante della cultura, accetterebbe tali clausole. Amen.
Visto che ogni tanto mi piace pure dire le cose ardite, e tu almeno non mi riterrai pazzo, ne approfitto. 😉
In una buona logica del self publishing italiano, bisogna avere in mente, con la storia adatta, di tradurre il libro in lingua inglese per entrare anche in quel mercato di self-publishing. Cavolo! È troppo grossa.
Qualcuno subito risponderà che questa è una boiata pazzesca. Ma se già uno scrittore non vende in Italia, figuriamoci all’estero!
Giusta valutazione. In fondo per gli sconfitti in partenza è sempre bene nemmeno pensarle le cose. 😀
Serena dice
Torno domani perché ti devo scrivere un papiro e sono distrutta XD ‘notte!
Serena dice
Sono riuscita solo oggi a leggere l’articolo. E mi è piaciuto talmente tanto che ho deciso di tradurlo qui sul blog, è utile che certe riflessioni siano messe a disposizione anche di persone che non leggono l’inglese.
È sempre vero che per ogni interscambio umano bisogna domandarsi: cui prodest? In questo caso particolare: a chi giova che gli autori si convincano di non essere in grado di fare da soli?
Poi non sono d’accordo che si possa fare veramente tutto tutto da soli, non mi ricordo più dove dicevo che gli occhi di un terzo sono necessari in fase di revisione, per esempio. E devono essere occhi esperti. Ma per il resto… Basta, sto zitta: tradurrò e lascerò parlare Howey.
L’articolo agghiacciante lo voglio leggere anch’io, perché non lo linki qui sotto? Se no, almeno mandami il link via email!
La cosa ardita sarebbe pensare di tradurre la propria storia in inglese? Allora tranquillo che siamo (almeno) in due a essere un po’ svitati 😀 Io ho già cominciato, ne avevo tradotti dei pezzi durante il NaNoWriMo, per farli leggere ad un amico americano. La mia storia ha già una cover con testo in inglese, realizzata da Derek Murphy di Creativindie.com. Un esperimento carinissimo di cui parlerò presto in un articolo. Quindi vedi che con me puoi dire quello che ti pare XDDD La traduzione in lingua inglese spalanca un mercato al confronto del quale quello della nostra piccola amatissima Italia fa ridere. Se non altro, si moltiplicano le probabilità, no? Non dico che i lettori in lingua inglese verrebbero a cercare proprio noi, ma almeno si lavora su una dimensione più interessante. Ci sono già autori italiani Indie che scrivono in inglese, comunque. Mi ero salvata il sito di una signora italiana che vive a Londra e scrive le sue storie in inglese… Vedo se lo ritrovo, mi era piaciuta tanto, per come aveva impostato le cose.
Cosa ne dici se cominciamo a definirci autori Indie invece che Self Publishers? A me piace un sacco!
Giuse dice
Ciao, sono d’accordo su tutto quello che è stato scritto nell’articolo, ma soprattutto sul lanciare il proprio romanzo in lingua inglese. Il mercato inglese è molto più vario e ampio del nostro. Ci sono se non altro più possibilità!
Serena dice
Ciao Giuse, bentornata! Se riesco a finire il mio romanzo – al momento sono in crisi e ogni tanto dubito, purtroppo – è quasi sicuro che tenterò la carta della lingua inglese. Costa tempo e denaro, ma vale la pena provarci… Ormai il mondo è parecchio più grande della nostra amata, piccola Italia. Grazie per essere ripassata di qui, spero di leggerti ancora presto 🙂
animadicarta dice
Leggevo questo tuo post e mi brillavano gli occhi: la penso esattamente come te. Purtroppo è un discorso scomodo, a molti ancora non va di fare i conti con la situazione e continuano a illudersi di essere accolti a braccia aperte dall’editoria. Personalmente non credo più nella “convalida” di un editore o nel “prestigio” che può offrirti. O meglio, vedo questi due fattori ancora validi solo se pubblichi con un editore che ti porta in libreria, in tutte le librerie.
Credo che il self sia una grande opportunità per chi vuole fare le cose seriamente.
Anche il discorso economico è importante. Si tende a dire “costa di più autopubblicarsi”, ma in realtà gli editori prendono una fetta enorme dei ricavati quindi anche se fanno tutto loro, ti hanno fatto comunque pagare editing, copertina, ecc. in anticipo.
Serena dice
Infatti il senso del mio articolo della scorsa settimana era proprio questo: sapere di cosa si parla quando si parla di editoria. Fare i conti con la situazione com’è davvero. Se uno ha il coraggio di prendere atto, di accettare le cose come sono, poi cambia per forza idea sull’autopubblicazione. Che poi, io mica penso al SP come alla panacea di tutti i mali, eh XD I problemi di vendita ci sono per tutti. Il problema di essere visibili c’è per tutti.
Ti racconto questo: c’è una scuola di scrittura che io stimo molto e che vorrei frequentare, se ne avessi il tempo. I miei fine settimana appartengono a mio figlio, idem le sere. Gli allievi scrivono cose selezionate all’origine, sono seguiti benissimo e alla fine vengono presentati a degli editori. Alcuni vengono pubblicati. E poi? Ho guardato come sono messi alcuni. Recensioni, classifiche di vendita. Sprofondati in posizioni in classifica, su Amazon per esempio, che significano “nessuna vendita da una vita”. Alcuni zero recensioni. Non un cristiano che si sia preso la pena di dire “questo libro è bellissimo”. Uno, dico. D’accordo con tutte le riserve sulle recensioni, ma almeno una? Boh. Un editore con un nome ti può far conoscere. Ma pare che gli editori con un nome vendano autori con un nome. Vendono brand, più che libri. Un brand fa vendere qualsiasi cosa.
Assolutamente d’accordo con l’arrivare alle librerie, ma se sei un esordiente o vendi a manetta, subito, tantissimo, se no il tuo posto sullo scaffale te lo fregano dopo poco i soliti noti. E’ davvero una questione di valore dello spazio occupato, come nella gestione di un magazzino, che un imprenditore conosce benissimo. Lo spazio è denaro.
Sulle percentuali di guadagno degli autori pubblicati tradizionalmente sono stata larga, molto larga: quelle percentuali le prendono i best sellers.
Poi per tutti quanti dipende da quanto vendi XD Il 3% di qualcosa è molto meglio del 20% di niente, diceva il mio vecchio capo a quelli che si candidavano per rappresentarci.
E siamo allineate. E si metto a parlare di queste cose non finisco più XD
sandra dice
Parto da un presupposto: anche tu segui e stimi Chiara Beretta Mazzotta, io ancora di più, figurati ci sono uscita a cena sabato 😀 ecco, lei definisce il self publishing non pubblicare, bensì “mettere in vendita la propria opera” e mi trova d’accordo. Il tuo post è ben argomentato, ma ci sono un paio di cose, un editore tradizionale che pubblica solo in digitale come il mio goWare, che comunque offre la possibilità di avere il cartaceo grazie a un accordo con Amazon dà all’autore il 50% di diritti, non male, vero? I libri bruttissimi sono ovunque, nei cassetti e nelle vetrine più prestigiose, così come quelli bellissimi, stesso discorso, del resto occorre tenere presente l’elemento “fortuna”, ha il suo peso anche qui. In definitiva credo che il self sia un’opzione e come tale va considerata, una tra le tante, occorre trovare quella giusta per sè, non siamo tutti ugali. In ultima analisi nessuno dirà mai della propria opera che non vale, forse occorre farselo dire da altri, a volte chi non arriva, semplicemente non ha i numeri per entrare in un mercato piccolo al quale in troppi ahimè vogliono accedere.
Marco Amato dice
Ciao Sandra, è sempre bello incontrarti in giro per il web. 😉
Mi hai messo una curiosità, cosa hai mangiato con la Chiara? Ehm… no, la curiosità era su Go Ware. Ma il 50% è sul prezzo di copertina, o sulla percentuale che incassano loro? Cioè se loro incassano il 70% quindi a te spetterebbe il 35%?
sandra dice
Io ho mangiato il filetto di scottona al sangue con le verdure grigliate. Il filetto era di 300 gr. per cui ordinandolo ho detto a mio marito che gliene avrei dati almeno 100 gr. ma poi era talmente buono che me lo sono pappato tutto. La Beretta ha mangiato un tagliere di salumi e formaggi con pane di Kamut. Eravamo sedute vicine vicine e a entrambe è caduto il tovagliolo sui piedi 😀
50% Sul prezzo di vendita, per cui se c’è un’offerta in corso, prendo meno, tipo sto vendendo molto con kindle unlimited e lì chiaramente si abbassa parecchio, ma fa vendere tanto per cui per me davvero va molto bene, poi di quello il 15 se lo prende il mio agente, come giusto che sia da contratto. A disposizione Marco, è sempre un piacere anche per me trovarti in giro.
Marco Amato dice
Allora complimenti, il 50% è un’ottima percentuale. Non male come editore.
Serena dice
Sì, infatti io penso che il valore aggiunto della pubblicazione per via tradizionale sia quello di essere valutati da persone competenti. Nel SP teoricamente non c’è selezione, se non quella che l’autore fa su se stesso, e quindi a) via libera (purtroppo) alle peggio schifezze, b) ecco che diventa necessario l’occhio di un terzo, freddo e competente, che esamini l’opera finita. Anche a pagamento, perciò ben venga anche chi offre per esempio una scheda di lettura ben fatta. Gli autori indipendenti devono autoregolarsi, per diventare credibili. Anche se penso che poi alla fin fine il mercato si regola da solo… Ci sono cose che a me sembrano disgustose che hanno pubblico e tante recensioni positive, e vendono… Hanno la loro nicchia di mercato.
Sì, Chiara mi piace tantissimo! Mi fa anche buttare dal ridere, certe volte, il che per me è un enorme valore aggiunto. Però questa cosa che il SP è vendere e non è pubblicare non l’ho mica capita. Per un editore il libro alla fine è un prodotto, le CE non sono mica Onlus. Forse si riferiva alla differenza tra buttare sul mercato la qualunque (pur di vendere) e vendere un prodotto curato?
(Bentornata, Sandra :* un baciotto )