Cari,
Non ricordo dove eravamo rimasti l’ultima volta che ci siamo parlati. Ah, sì: si parlava di piano marketing, credo. E probabilmente vi ho anche detto che a novembre ci sarei stata poco, per via del National Novel Writing Month.
Però non immaginatemi drogata di caffeina a scrivere come una pazza le mie 1667 parole giornaliere: per fare quello ci vuole una bella dose di energia, entusiasmo, determinazione. Il NaNo è un’esperienza galvanizzante che va ben oltre la quota di parole, un tanto al chilo come al mercato. Ha a che fare con lo sfidare se stessi in compagnia di molti altri che vivono della stessa passione. È… euforizzante. E io non mi sento mica tanto euforica, anzi, me la sto prendendo straordinariamente calma. È la cosa di cui ho più bisogno in questo momento.
Da qualche parte dopo la metà di ottobre ho inviato alla mia editor e ad una lettrice beta la mia Cristallo. Il piano era che, se fosse andato tutto bene, avrei avuto tutto il tempo necessario per occuparmi della pubblicazione (vi rimando per questo al piano marketing di cui sopra) che avevo già previsto da tempo di far slittare a febbraio 2016. Questo perché a febbraio cade il mio compleanno, e nel 2016 la mia età è una bella cifra tonda tonda. Festeggiarla con la pubblicazione della prima storia con il mio vero nome sarebbe stata una gran bella soddisfazione.
Purtroppo la storia è tornata dall’editor ferita, ammaccata e lacerocontusa. Anzi, laceroconfusa.
Con la lettrice beta è andata un po’ meglio, ma non c’è stato l’entusiasmo che speravo. Da Lettrice Beta voglio lo sclero totale, se no non ci siamo: non mi accontento di niente di meno, da lei.
Non ci sono rimasta nemmeno troppo male: in sostanza me l’aspettavo. Diciamo pure che ci ho provato, via. Che non ne potevo più di avere tra le mani questa mia creatura deforme. Che, nel momento in cui l’ho dichiarata finita, invece di essere entusiasta di lei e pronta a difenderla a spada tratta da chiunque, mi accontentavo di una speranza. La speranza che fosse ad un livello di decenza sufficiente a non dovermene vergognare. Invece così non è stato.
Probabilmente è una storia ancora decente, lo dico senza falsa modestia, ma non è una bella storia, non secondo i miei standard. La seconda parte, dice la beta, è tra le cose più belle che io abbia scritto. La prima…
Meh.
Così imparo ad accontentarmi. Non è etico accontentarsi e, soprattutto, non è etico arrendersi ad un prodotto mediocre per una che va sostenendo a spada tratta la pubblicazione Indie.
Comunque sia, io sono stanca morta. Ho tirato, tirato e tirato perfino in agosto. Essendo in ferie ho recuperato del tempo per scrivere, ma sono stata molto attenta a non sottrarne alla mia famiglia, e mi sono ritrovata a scrivere la sera da mezzanotte alle due. O ad infilare la scrittura, come diceva una ragazza nel Gruppo Facebook del NaNoWriMo, negli interstizi di tempo, perché parlare di spazi sembra troppo.
Morale della favola? Due cose: una bella e una brutta.
Prima la brutta: sono esausta. Dicono di me che sono un mastino, un carrarmato, ma giuro che sono umana. Sotto la pelle non ho l’acciaio come Terminator, ho la cervicale e qualche altro osso dolorante. Sono stufa di dover inserire in agenda anche la pausa pipì e di cascare in coma la sera, tanto da non riuscire nemmeno più a leggere delle belle storie, che poi è la faccenda da cui per me è nato tutto.
Poi la cosa bella.
Allora, ho la sensazione – per ora solo una sensazione, eh – che questo stop sia un po’ il rogo della Fenice. I commenti dell’editor sono stati il punto di partenza per un’analisi fredda della storia dal punto di vista della struttura, che è la mia fissa. Si sa che quando si tratta del tuo bambino prediletto essere obiettivi è impossibile: ci vuole prima la doccia fredda, poi forse ce la si fa. La doccia fredda – anzi, Polare Artica – ce l’ha messa l’editor, ma io ci ho messo una disamina dei problemi a livello strutturale, della quale sono piuttosto fiera. Per farvela breve – poi magari se volete vi racconto – la storia cominciava nel punto sbagliato. E questa scoperta è stata illuminante, ha cambiato tutto. Mi sono ritrovata con delle potenzialità molto più grandi di quel che pensavo. Un sacco di frammenti del puzzle sono andati finalmente al loro posto. Adesso, devo solo sopravvivere per finire QUESTA BIP di storia. E un’altra cosa bella: basta col marketing, per un po’, perlomeno col mio marketing personale. Devo tornare a studiare un po’ la scrittura. E anche questo, credetemi, lo sto vivendo come una specie di regalo: mi mancava molto. Ogni tanto una bella spazzolata sul groppone fa bene: distrugge l’ego, ma fa tornare alle radici.
Vi copio queste parole pubblicate qualche giorno fa da Alessia su Facebook, prese da un articolo di Judy Blackmore che citava:
“The biggest barrier to releasing quality material is probably impatience. You have a work that feels pretty good; you’re exhausted; you want to move on; you might be a bit delusional about how good it really is; so you hit “publish”. Nobody steps in and tells you to make it better, to do another pass, to get a better cover, to write a better blurb, to hire or trade for some editing, to beg or trade for some beta reading. You simply jump the gun.”
(La più grande barriera alla pubblicazione di materiale di qualità è probabilmente l’impazienza. Hai creato un’opera che sembra abbastanza buona; sei esausto; vuoi andare oltre; potresti essere un po’ illuso su quanto sia effettivamente buona; e così premi “Pubblica”. Nessuno si fa avanti per dirti di migliorarla, di fare un altro passo, di farti fare una copertina migliore, di scrivere una quarta migliore, di pagare dell’editing o scambiarlo con qualcuno, di supplicare qualcuno perché ti faccia da Beta o scambiare il favore. Semplicemente fai il salto.)
Tempo, pazienza, dedizione, coraggio: sono gli ingredienti per la riuscita di un progetto. Dicono che la fretta sia cattiva consigliera. Non corriamo in cerca del traguardo; non scappiamo dalle tappe intermedie che – come dice Paola Fantini – sono necessarie e devono essere previste nel nostro percorso; non dimentichiamo che quello stesso percorso è la chiave che ci permette di crescere.
Judy Blackmore dice ancora: “Quello che sto dicendo è che devi creare una situazione in cui il fallimento non è contemplato.”
Capito Serena?
Capito. Fa male, ma capito. Io qualcuno che mi ha detto di aspettare l’ho avuto, e probabilmente non finirò mai di ringraziarlo, anzi, ringraziarla.
Spero stiate tutti bene. Ci leggiamo qui in giro, in modo sicuramente piuttosto casuale fino alla fine del mese di novembre.
Vi abbraccio
Serena