Ma buongiorno a tutti! Come state? Come procedono libri, romanzi, racconti e piattaforme online? 😛 Io sono stufa marcia: dopo una breve vacanza in Sardegna ne ho già le scatole piene di nuovo. Adoro la mia vita e tutto ciò che ci sta dentro, ma al momento l’unica cosa che farei – se riuscissi a respirare – è disegnare. O anche studiare acquerello, tipo.
Sono in ritardo con la pubblicazione del seguito di Buck, perché rileggendo quello che doveva essere il testo definitivo, detto papale papale mi fa schifo. E non so se sia perché fa oggettivamente schifo, o se è perché l’unica cosa che farei – se riuscissi a respirare – è disegnare. [cit]. Devo scusarmi con le gentili persone che si sono offerte come beta reader, perché non sono in grado di inviare niente di leggibile nei tempi previsti. Va da sé che dubito di riuscire a pubblicare il terzo libro della serie entro il 2017, ma forse non è stata neanche una grande idea, da parte mia, pormi due libri in un anno come obiettivo (le antologie non le conto, trattandosi di lavori collettivi).
Nonostante tutto non mollo: anche poche parole al giorno, ma sempre avanti. Gutta cavat lapidem, dicevano i nostri avi: sarà vero? Speriamo.
E poiché la gestione del tempo, la costanza e la resilienza sono tra i miei temi preferiti – condizioni di vita, direi – è il momento di condividere la traduzione di questo articolo di Jane Friedman. Lo trovo illuminante ed irritante allo stesso tempo, e lei si conferma una delle personalità più intellettualmente oneste nel vasto panorama dell’editoria internazionale, sia tradizionale che indipendente. Tutto il contrario dei cialtroni di cui parlo ogni tanto, che continuano a imperversare. Quelli che se fai come dicono loro (e soprattutto li paghi profumatamente) ti garantiscono il best seller.
Jane Friedman, per chi non lo sapesse, è esperta in editoria digitale, docente universitaria, blogger di successo, ed è stata editore del celebre Writer’s Digest. Dunque buona lettura, e fatemi sapere che ne pensate.
Quando vengo intervistata, o nelle sessioni finali di domande e risposte ai convegni, mi vengono poste domande sulla mia prolificità (da quelli che la constatano e ammirano), o sulle mie tecniche di gestione del tempo. Come si gestiscono lavoro creativo, marketing, promozione e le esigenze di una famiglia o di un (altro) lavoro a tempo pieno?
Ho recentemente discusso di questo tema come ospite durante l’eccellente podcast di Jeff Yamaguchi, Writing Drafts, ma non sono soddisfatta della mia risposta. Una parte del problema consiste nel fatto che volevo essere d’aiuto – identificare davvero l’impostazione mentale o il metodo determinanti per il successo, quella che offrisse a qualcun altro una vera svolta su questo problema.
Ma, a dire la verità, non ho mai avuto quella specifica mentalià o metodo, anche se può capitare che ci scriva su. I miei metodi sono incostanti e influenzati dalle altre cose che capitano nella mia vita. Ho usato e poi scartato un sacco di strumenti organizzativi di raccolta appunti e creazione liste, nel corso degli anni, tra i quali OmniFocus, Apple Notes, GoodToDo, i planner di Covey e Uncalendar (da questo capite quanti anni ho!). Al momento, il mio strumento preferito è Evernote.
Ma nessuno di questi strumenti in realtà è il mio vero segreto. C’è una sola vera ragione per la quale sono così produttiva.
Godo del lusso di avere tempo, fare esattamente quello che mi piace, con poca o nessuna responsabilità verso qualcuno o qualcosa tranne che verso me stessa e la mia realizzazione.
Non ho figli.
Non ho una famiglia di cui prendermi cura.
Non appartengo a nessuna organizzazione.
Non ho un lavoro tradizionale.
Non faccio le pulizie e non stiro (però cucino).
Ho un compagno, ma è gentile e collaborativo, e mi permette di dare la precedenza al mio lavoro ogni volta che è necessario.
Inoltre, per prima cosa evito consapevolmente obblighi o impegni esterni. La cosa che voglio di più è essere lasciata in pace a fare il mio lavoro, ed è esattamente la vita che ho creato per me stessa.
E così possiedo il lusso del tempo che altri non hanno, ma in parte è anche un privilegio. Se da una parte ho fatto scelte consapevoli che mi hanno portata ad ottenere questo stile di vita, altre scelte sono state rese facili (o almeno, prima di tutto, possibili) grazie all’accesso a una formazione di alto livello, a una famiglia stabile che mi ha sempre incoraggiata, e occasioni di crescita nella mia carriera. Di privilegi abbiamo già parlato in riferimento alla vita da scrittori. […]. Essere “sponsorizzata” da un marito. Potersi permettere di lavorare gratis.
Ci sono anche altri tipi di privilegio o lusso.
Vedo spesso elogi di scrittori che prendono posizioni e dicono “Non vendo e promuovo me stesso (o il mio libro)” o “Non ho intenzione di usare i social media”. Generalmente ci sono due ragioni per gli elogi: queste cose sono viste come attività meno importanti, che sottraggono tempo alla scrittura, e devono essere ridotte ai minimi termini come le distrazioni che effettivamente sono. Ma sono anche viste come attività che non si addicono ad uno scrittore serio, che dovrebbe solo scrivere e non costruire una “piattaforma” o un “marchio”. Quest’attività svilisce l’arte e lo scrittore, si pensa. E così facciamo festa quando qualcuno è abbastanza coraggioso o testone o indipendente abbastanza da violare il comandamento di coinvolgere i lettori. (Lo so, è un comandamento orribile. Il linguaggio che circonda qualsiasi cosa legata al marketing può essere difficile da accettare e pieno di omologazioni senza senso.)
Ma la decisione di non interagire per niente? Rimanere offline, fuori da ogni rete e concentrarsi sulla scrittura escludendo tutto il resto? È un lusso che quasi nessuno degli scrittori nuovi o emergenti può permettersi.
Scegliere di non promuovere un libro: un lusso
Ignorare l’autopromozione e la creazione di una piattaforma: un lusso.
Rimanere offline (almeno per la maggior parte degli scrittori occidentali): un lusso.
Quando i social media come Facebook e Twitter hanno decollato nel 2007 e 2008, e io ho cominciato a fare i miei esperimenti online, nessuno mi ha mai detto che fosse obbligatorio o necessario o utile alla mia carriere (e di questo sono riconoscente: mi sono risparmiata un po’ d’ansia, prima di immergermi nel tema). Ma posso testimoniare un salto di carriera che mi ha cambiato la vita da quando sono diventata più attiva online. Sono di colpo divenuta visibile nel mio settore, mentre prima ero praticamente invisibile. (A quel tempo lavoravo a Cincinnati, che per tutti i newyorkesi e chiunque lavorasse nell’editoria era solo una zona di passaggio.)
Grazie ai social media, di colpo ero in grado di comunicare, condividere e dimostrare chi ero e cosa pensavo ad un pubblico molto più vasto di lettori e leader d’opinione. Ho cominciato a crearmi una reputazione e la gente mi riconosceva quando mi presentavo alle conferenze. Ricevevo più inviti a tenerne io stessa. Mi sono creata una piattaforma quasi per caso, semplicemente continuando a fare quello che già facevo in una forma più pubblica (per un approfondimento su questo tema, leggete “Show …di Austin Kleon!)
I social mi hanno dato una voce più potente e un potere che prima non avevo. Non che non ne avessi del tutto, prima, ma era diverso. Per quasi tutti gli anni 2000, ho avuto ben pochi contatti con opinion leader; ero ben fornita di competenze, di tempo, ma povera di conoscenze. Con i social ho sviluppato una mia individualità degna di nota e ho improvvisamente meritato attenzione (e se un po’ di quell’attenzione è meritata, non posso dire che sia tutta meritata. Il rovescio della medaglia è che quando sei noto per il tuo grande seguito online, vieni conosciuto e consigliato grazie a qualcosa di piuttosto vuoto, invece che per il tuo lavoro. Un tema che dovrò approfondire una volta o l’altra.)
Quando autori come Jonathan Franzen rifiutano il marketing, la promozione, i social e qualsiasi cosa li sottragga alla loro arte, è spesso – se non sempre – perché si trovano in una situazione per cui attività come la presenza sui social non aggiunge più potere o opportunità interessanti o benefici, sia da un punto di vista creativo che di relazioni, si tratta solo di un obbligo o di un mal di testa in più. Ed è più che logico e accettabile rifiutare queste attività, ma non è una cosa ammirevole di per sé e in sé, né si tratta di un buon esempio per persone all’inizio della loro carriera.
Ian Bogost ha scritto un articolo eccellente sul raggiungere un punto del proprio percorso di carriera dove si possono prendere le proprie decisioni:
“Devi dire ‘sì’ per molto tempo prima di guadagnarti il diritto di dire ‘no’. E anche allora, di solito non puoi dire di no come ti aggrada. Nel momento in cui puoi dire di no indiscriminatamente, allora hai già talmente tanto successo che dire no non è più un prerequisito, ma un un risultato del successo stesso.”
Perché alcuni raggiungono un livello di successo in cui questo è possibile, e altri no? Una domanda da un milione di dollari. Ma giocare al gioco di “E se…” può aiutare a rendere chiaro dove potreste recuperare un vantaggio che vi può condurre al successo, e dove invece non siete così fortunati. O puoi aiutarvi a capire perché alcuni possono rifutare I soliti obblighi che tutti quanti rispettano. Considerate tutte queste potenziali variabili:
– Chi viene da una famiglia con ottime relazioni che li ha presentati alle persone giuste al momento giusto?
– Chi vive in un luogo nel quale è più probabile avere accesso e vicinanza alle persone, istituzioni e opportunità giuste per lanciare la propria carriera?
– Chi ha il denaro che gli permette di scrivere gratuitamente, fare internati non retribuiti, o accedere a un programma MFA?
– Chi ha dei mentori che li spingono, presentano alle persone giuste e conducono alle giuste opportunità di carriera?
– Chi ha un ambiente di lavoro che l’aiuta a crescere come persona, invece che ridurlo e sminuirlo?
– Chi ha una famiglia che offre supporto e consente del tempo per un’attività creativa?
– Chi ha una rete che gli offre occasioni invidiabili, o ha accesso a una comunità che lo pone a stretto contatto con chi ha potere decisionale e privilegi nel proprio settore?
(questo articolo non ha lo scopo di dire, in modo contorto, che dipende tutto da chi conoscete o che avete bisogno di conoscenze importanti per essere pubblicati o raggiungere i vostri obiettivi creativi. Certamente tutto questo aiuta, ma è solo uno dei privilegi di cui una persona potrebbe servirsi)
Niente di quanto sopra è detto per sostenere che la pratica, il duro lavoro e la diligenza siano invariant nell’equazione, ma che di tutti questi altri fattori non si parla abbastanza. Mi è stato chiesto per così tanto tempo, e così spesso, qual è il segreto della mia produttività e del mio successo; c’è un’assunzione implicita che sia solo il risultato di un metodo ben strutturato e verificato. Non lo è. Una buona parte della mia vita lavorativa è stata indisciplinata e destrutturata (sebbene non senza una visione e uno scopo). È solo che io ho potuto passare quasi vent’anni concentrandomi sul mio lavoro, escludendo quasi tutto il resto. Quante altre persone possono concedersi questo lusso?