6 agosto 2016, gita all’alpeggio Veplace (quota 1.700) nell’ambito dell’iniziativa “Alpages Ouverts 2016”.
Un servizio navetta accoglie bambini, anziani e pigroni di ogni età, per accompagnarli dalla piazza del paese fino su al pascolo. Là ci aspettano formaggi freschi, polenta concia e altre golosità della Valle. Noi due, imbarcati nonna e figlio, decidiamo di salire a piedi. Lungo la strada ci fermiamo in località Lignan, all’Osservatorio Astronomico della Valle d’Aosta; ci torneremo nel pomeriggio per un’osservazione diurna del Sole, con macchie solari e tutto quanto.Se passate di là, non perdetevi una visita a osservatorio e planetario; oltretutto gli incaricati sono davvero simpatici.
La sosta successiva è per farci stordire un po’ dalla bellezza in cui siamo immersi, e scattare qualche fotografia.
Poco prima della nostra meta, appena sotto l’alpeggio, c’è uno stand dell’AREV e, subito dopo, quello del Corpo Forestale della Valle d’Aosta. È qui che – giusto per non smentirmi – attacco bottone con la guardia forestale Manuelita Perini, una bella e gentile signora che tanto per cominciare mi rassicura: nessuno degli animali impagliati in esposizione è stato ucciso apposta. Per esempio, i rapaci sono morti – tristezza – sbattendo nei cavi dell’alta tensione.
Secondo voi io resisto? Certo che no: pongo la domanda che mi frulla in testa da quando siamo arrivati in Valle.
Ma i lupi in Valle d’Aosta sono tornati oppure no?
“Certo” risponde la signora Perini “ci sono almeno due branchi avvistati, di quattro-sei individui ciascuno. Un branco forse si è ridotto a tre esemplari, perché il cucciolo maschio, abbastanza grande per star da solo, potrebbe essere stato allontanato dai genitori.”
Io, ovviamente, sorrido come avessi vinto alla lotteria.
Parliamo per almeno un quarto d’ora. Racconto che sto leggendo “Among Wolwes” di Gordon Haber, e la signora Perini conosce sia il professore che il libro; aggiungo che ho scritto un romanzo il cui co-protagonista è un mezzo lupo e che, nonostante le ricerche svolte, ho il timore di aver scritto qualche scemenza. Fortunatamente, pare che ciò che ho immaginato per il mio Buck sia del tutto realistico.
Manuelita mi descrive caratteristiche fisiche e comportamento degli esemplari di lupo italico che si dividono la Valle; mi spiega quali sono le differenze tra i lupi nostrani e quelli di Denali, Alaska, descritti da Haber nel suo libro. Di tutto ciò che imparo, una cosa in particolare mi rimane impressa: nel nostro ambiente, spiega la signora Perini, tutto – sia prede che predatori – è di taglia ridotta. I nostri lupi sono piccoli e leggeri perché le loro prede sono piccole e leggere, e viceversa. L’ambiente è molto meno ostile; i pochi individui che formano un branco, padre madre e cuccioli, sono più che sufficienti ad abbattere un erbivoro locale.
Tutt’altra faccenda è vivere in un territorio estremo come l’Alaska.
I lupi di Denali sono animali possenti che vivono in branchi numerosi; sono “costruiti” così per sopravvivere, perché contro un alce, tanto per fare un esempio, pochi esemplari di piccola taglia non avrebbero speranza. I lupi dello Yukon, disperati per la fame dell’inverno, hanno assaggiato anche la carne umana. I cercatori d’oro accendevano il fuoco al tramonto minacciati non solo dal freddo ma anche dai lupi; in quei posti, il terrore atavico verso il lupo era più che giustificato (notare il verbo al passato: la situazione è leggermente cambiata, da allora. Adesso sono i lupi che devono fare molta attenzione all’uomo).
I nostri lupi, invece, sono molto timidi: come sentono l’odore dell’uomo scappano.
“Questo forse contribuirà a salvarli?” chiedo. Penso ai lupi investiti dalle auto e a quelli presi a fucilate o vittime delle trappole, non sempre con un (valido) motivo alle spalle.
Qui in Val d’Aosta sono state attaccate delle greggi?
“Per ora no” mi risponde la signora Perini “e non sempre sono i lupi, ma prima o poi la polpetta velenosa qualcuno la metterà.”
Ma perché, se i lupi non disturbano nessuno?
Con qualche ricerca ulteriore scopro che moltissimi attacchi alle greggi non sono opera dei lupi, ma dei cani rinselvatichiti. Il modo di cacciare di cani e lupi è molto diverso: i lupi si coordinano tra loro, attaccano una sola bestia e la uccidono con una tecnica precisa, un morso alla gola che dà una morte rapida. I cani, invece, si muovono come una torma disordinata e selvaggia, lasciando sul terreno molte bestie moribonde attaccate a caso, e divorano la preda mentre è ancora viva. Perché, allora, il lupo fa così paura? È solo l’ignoranza?
“Perché l’uomo teme il predatore” risponde la guardia forestale “teme se stesso. Se si guarda allo specchio, vede il lupo”.