Io e i cartoni animati, seconda puntata. Stupita dalle mie stesse reazioni a Sword Art Online, ho cominciato a curiosare in giro e mi si è aperto un mondo. Ho scoperto che SAO è considerato da molti l’anime più importante degli ultimi anni e soprattutto… POF! Ecco un meraviglioso déja vu: la storia ha milioni di fan appassionati E altrettanti haters, e le due fazioni litigano furiosamente tra loro. Come accade a ogni bestseller che si rispetti.
Uno youtuber stanco vuole fare millemila visualizzazioni in un lampo? Basta che pubblichi un video dove spiega perché Sword Art Online è una cacca. Non lo dico io, lo ammettono senza vergogna proprio loro, gli youtuber specializzati in anime. Che hanno in catalogo sempre almeno cinque video su SAO, più un paio pronti da girare.
Comunque, non ho molto tempo per scrivere e quindi vado al punto, anzi ai punti.
Punto primo. Questo non è un articolo in difesa di SAO. Tanto per cominciare non ho bisogno di difendere niente, se una storia mi piace la consumo indipendentemente dal fatto che altri dicano che è una ca*ata. Piuttosto, è una mia personale riflessione – stupefatta – sulla potenza di certe storie. Perché se una storia accende discussioni e fa incavolare, ridere e/o piangere milioni di persone quella storia, brutta o bella che sia, ha qualcosa da dirci. Sempre che ci interessi il fatto di essere umani qui, proprio su questo pianeta e in questa epoca, e ci incuriosiscano le modalità di questa nostra presenza.
Punto secondo. Ho una domanda. Che cosa è (appunto) che fa discutere, accendere, incavolare e piangere milioni di persone? Mi duole ammetterlo, ma anche quel pornetto da strapazzo che mi rifiuto di nominare, scritto da un’esperta di marketing e tratto da una fanfiction (tanto avete già capito di cosa parlo) ha emozionato in qualche modo milioni di persone. Devo considerarlo in questa riflessione anche se mi fa vomitare? Temo di sì.
Punto terzo. Sto parlando di storie, indipendentemente dal medium utilizzato. Per restare nel mio caso, ho incontrato SAO come anime in prima battuta, poi sono passata ai libri. Ora apprendo che Netflix ha comprato i diritti per una serie live action, alla quale certamente darò una possibilità (anche se le trasposizioni cinematografiche di qualunque cosa raramente mi lasciano soddisfatta). Una storia è una storia. Come consumatrice di storie posso essere anche una lettrice, ma di base sono una consumatrice di storie. In che forma vengano, per me è secondario.
Punto quarto. Arriviamo al punto che, oggi, mi interessa di più: se ciò che conta è la storia, e per me è così, quanto è importante la costruzione della medesima rispetto al linguaggio? Sarò onesta: se la storia è bella, a me basta che sia scritta decentemente. Che non mi faccia cascare le braccia mentre leggo. E le braccia cascano non quando vengono violati i Sacri Canoni Della Letteratura ma – almeno, nel mio caso – quando si interrompe il sogno narrativo. Una bella storia scritta anche bene? Wow, è il massimo. Ma per me, anche come lettrice, prima di tutto la storia.
Punto quinto. Sapere come funziona una storia, o almeno averne una pallida idea è fondamentale. Purtroppo anche studiando e facendo pratica il successo non è garantito. Una struttura di base non è che un punto di partenza, e conoscerla serve per scrivere qualcosa che abbia un capo e una coda (scaricatevi questo bigino se ancora non lo avete fatto). A fare le analisi dopo che la storia ha fatto il botto son buoni tutti. Progettare il botto prima è impossibile, alla faccia di tutti i manuali di storytelling del mondo.
Lasciatemi usare ancora l’esempio di Sword Art Online. Ho trovato in rete più di un’analisi di SAO, alcune fatte veramente bene, da gente che sa cos’è una storia, cos’è l’intrattenimento di massa, cos’è un archetipo eccetera eccetera. Eppure sempre, in tutti i casi, sia che l’analisi esaltasse SAO sia che lo demolisse, mi sono ritrovata prima o poi a pensare “ma che cavolo sta dicendo questo?”. Perché alla fine quello che piace a te magari a me fa schifo. Quello che emoziona me a te sembra dozzinale, e quello che emoziona te a me sembra insignificante e non mi ero nemmeno accorta che esistesse; un tema che a me sembra fondamentale è stato ignorato da te, e uno di cui io non mi ero accorta per te è la chiave di lettura.
Una cosa mi ha stupita. In nessuna delle analisi del successo di SAO lette finora ho trovato questa risposta semplicissima a una domanda semplicissima:
“Perché ti piace tanto Sword Art Online?”
“Perché è come la vita vera. Sono imprigionati in un gioco tremendo da cui si esce solo quando si muore e dove l’unica consolazione è l’amore”.
Ho un paio di domande per voi.
La prima: preferireste essere letti da milioni di persone ma essere demoliti da critici professionisti, o scrivere un’opera di alta qualità letteraria ed essere letti da una trentina di persone? Non è una domanda retorica e non sto prendendo in giro nessuno, sono proprio curiosa e basta. Siate sinceri, però.
La seconda: mi dite una storia nazional-popolare che vi ha trasformati in fan? Se esiste, ovviamente.
Bollettino dello scrittore e del lettore: nulla di nuovo da segnalare.
Bollettino della blogger:
- Venerdì preparatevi a salutare Maria Teresa Steri che ci viene a trovare. Parlerà del suo romanzo Come un dio immortale e di costruzione della trama. Direi che cade proprio a fagiolo!
- Ho avuto da una scrittrice/blogger americana che stimo molto il permesso di tradurre una sua serie. Si tratta ancora di progettazione, la proposta di un metodo un po’ diverso dal Fiocco di Neve… ma non così tanto. Potrebbe piacervi, quindi stay tuned!
P.L. dice
La prima possibilità non esclude la seconda, ehehehe. Ma, nel mio caso, preferirei realizzare la n. 1 *prima*, anche perché poi mi potrei pure permettere il tempo libero per poter realizzare la n. 2, e anche qualsiasi altro n. successivo 🙂 (chi dice che gli pseudonimi non servono a niente, poi?).
Quanto alla tua seconda domanda, forse potrei dire i 3 film “classici” di Star Wars (anche se adesso non hanno più lo stesso effetto che hanno avuto allora). Ma ce ne sarebbero altri, da Harry Potter a Hunger games (libri).
La domanda “Che cosa è (appunto) che fa discutere, accendere, incavolare e piangere milioni di persone?” me la faccio anch’io da anni, e come nel tuo caso ho frequentato tanti blog di scrittura che non mancano di analizzare a fondo i vari bestseller (spesso spaccando il capello in 4 e trovarci significati che gli stessi autori – spesso lo ammettono – non si erano mai sognati).
Ma nessuno, che io sappia, ha mai trovato questo “quid” (altrimenti si vedrebbe). 🙂
Non che questi blog non servano, al contrario: ho imparato parecchie cose preziose. Scrivere bene dal punto di vista tecnico e rispettare la struttura, il ritmo ecc. è un po’ come vestirsi bene per un colloquio di lavoro: è necessario ma non sufficiente. Nel senso che se lo fai bene, può non notarlo nessuno, ma se lo fai male lo notano eccome! 🙂
Serena dice
Ciao e benvenuto nel blog! Vedo che in quanto a storie abbiamo gli stessi gusti. Tanto per cambiare, Hunger Games fu demolito: perché era una copiatura di Battle Royale, perché era scritto male, perché certe scene erano inverosimili… Io ricordo di avere pianto come una fontana quando Katniss si arrabbia con Buttercup, terzo libro, verso la fine, e poi crolla. Un grande film sulla funzione del critico è “Ratatouille”… non so se ricordi. XD Quello era anche un critico serio, figurati quelli improvvisati!
Il paragone con il colloquio di lavoro è calzante e lo trovo perfetto.
La struttura comunque non è una legge e non va rispettata, anzi, il genio sta proprio nel saperla piegare a proprio piacimento ottenendo risultati nuovi e migliori. Il punto è che pochi sono capaci di farlo, quindi meglio fare pratica e comprendere i meccanismi partendo da qualcosa di semplice.
P.L. dice
Non ricordo molto di Ratatouille, l’ho visto una volta sola…
Hunger games è appunto un esempio di storia che ho apprezzato tantissimo, pur con tutte le sue imperfezioni.
Sì, è frequente la critica che evidenzia clichè o scopiazzature nelle opere di successo. Anche perché credo che poche storie possano dirsi davvero originali.
Non arrivo a pensare che l’unico modo per avere successo sia limitarsi a copiare quello che va di moda, o che ci siano solo 10 possibili tipi di trame (come il tizio che ha scritto Save the cat, peraltro molto utile da altri punti di vista).
Ma credo che quel “quid” stia da un’altra parte, anche perché altrimenti non si spiegherebbe come mai certi libri hanno avuto molto più successo di altri pur avendo una trama simile – o perché spesso tante storie di successo hanno una trama già vista e rivista.
C’è chi paragona una storia ben riuscita a una ricetta: ci sono ingredienti importanti con le loro giuste dosi e metodi di lavorazione, e altri che aggiungono solo un certo aroma. E poi c’è la creatività di chi è ormai esperto, che ti fa ottenere qualcosa di unico.
Certo, è più facile a dirsi che a farsi: è una “ricetta” che sto ancora cercando. Quello che è sicuro è che è qualcosa di più di un singolo ingrediente (come, appunto, la trama o la struttura). Be’. per oggi basta metafore 🙂
Barbara dice
La prima: essere letti da milioni di persone, perché se guardo ai critici di professione è un fiorire di secondi fini sottaciuti, ognuno sponsorizza un libro della medesima casa editrice o si contraccambiano il medesimo favore tra giornali.
La seconda: Twilight e Outlander. Sono state le 50 Shades a portarmi ad Outlander, ma riesco ad essere fan solo dell’Audi R8. Il più delle volte difendo le 50 Shades perché le critica o si è fermato a pagina 21 (il che è un po’ poco) o semplicemente non apprezza in genere, e allora non va dato un giudizio sommario (peggio ancora quando capisci che la persona ha problemi di tabù col sesso, e allora o si vergogna di leggere o si vergogna di dire che ha letto). Fatto sta che ha venduto e quindi qualcuno le ha lette (oramai associo le 50 sfumature a Berlusconi anni fa: dopo pochi mesi nessuno l’aveva votato, però aveva la maggioranza).
Comunque mi accontenterei anche di aver scritto un solo volume di questi, avrei già estinto il mutuo e pure cambiato casa! E dopo potrei permettermi di scrivere qualsiasi cosa…
Serena dice
Mmm… io del coso che mi rifiuto di nominare ho letto tutto il primo volume e non sono riuscita a trovarci molto di buono, la parte migliore secondo me è quando lei se ne va XD, e non mi sento né sessualmente repressa né mi vergogno a dire che l’ho letto; mi vergogno molto di più a dire che leggo roba da ragazzini! Comunque entriamo nelle interpretazioni e nei gusti personali e non mi sembra carino psicanalizzare chi non ha gradito quel tipo di storia. E non credo che chi ha gradito la storia – incluse persone che non ritengo sprovvedute in tema di lettura – siano quelle più spregiudicate, anzi magari è vero il contrario e i libri sono stati un modo per vivere delle esperienze in modo vicario. Esperienze più romantiche che erotiche, poi, secondo me.
Comunque, ho divagato.
Twilight anche tu, eh? Io pure. E ovviamente team lupo tutta la vita, non poteva essere diversamente XD
Barbara dice
Sorry, team vampiro, anche se il mio totem sarebbe il giaguaro.
Io mi permetto di psicanalizzare chi si permette di farlo per primo. Sono state scritte tante e tali cose a casaccio che metà bastavano. Il primo è quello editato (o tradotto) peggio, se non addirittura affatto. Fretta di pubblicare? Può essere. La fretta gioca sempre brutti scherzi.
Grazia Gironella dice
Concordo su tutti i punti. Le storie sono sempre esistite perché fanno parte del nostro essere umani. Che poi vengano trasmesse con i graffiti sulle pareti delle caverne, con un film, un fumetto, a voce o con un anime, non fa veramente differenza. Senza libri io mi sentirei persa, ma questa è un’altra questione; l’importante è che possiamo continuare a emozionarci, interrogarci e rilassarci con una buona storia.
Outlander è abbastanza nazional-popolare? Mi è venuto in mente quello.
Quanto alla mia preferenza di pubblico, contaci che sceglierò i milioni di lettori contro la manciata di eletti. Non so se dovrei vergognarmene, ma il parere di un critico e il parere della mia parrucchiera hanno lo stesso valore per me. Senza dimenticare che i milioni di lettori mi permetterebbero di comprare una casetta con il parco pieno di alberi secolari, dove potrei tenere fiori e cani e… vabbè, ci siamo capite. 🙂
Serena dice
Ti sentiresti persa senza libri perché la parola scritta è il tuo medium, e lo è sia quando sei attiva e crei, e racconti tu la storia, sia quando ricevi e la storia ti viene raccontata. Credo sia lo stesso per me, anche se ultimamente ho tanto bisogno di creare anche qualcosa di fisico; tant’è vero che la scrittura è diventata quasi quotidiana ma manuale, e si accompagna all’uso di colori, materiali diversi, cose che si possono toccare.
Credo che le storie indimenticabili facciano leva su qualcosa di atavico, un bisogno sempre presente e situato ai piani più bassi della piramide di Maslow. Lo dico senza giudizio di valore, anzi, il contrario. Sono quelli i bisogni che ci accomunano come esseri umani.
Anch’io sceglierei i milioni di lettori XD a patto però di riuscirci con la storia che voglio scrivere davvero.
Grazia Gironella dice
Certo! Non so se riuscirei a scrivere una storia che non sento mia, ma sospetto che verrebbe una schifezza. 😉
Maria Teresa Steri dice
Non sono quesiti facilmente risolvibili, della serie “non è bello ciò che è bello ma ciò che piace”. Forse la chiave alla fine è scatenare delle emozioni forti e in questo alcuni autori riescono bene. Potremmo stare le ore a sezionare e analizzare le pagine, senza trovare la chiave dei successi di massa, come nei romanzi da te non-nominati. Io di solito non mi attacco più di tanto a com’è scritta una storia, ma solo a patto di riuscire davvero a immergermi. Il problema di molti autori (esordienti…) che si preoccupano poco di quest’ultimo aspetto, ovvero non ci pensano proprio al lettore.
Per rispondere alla tua domanda, sceglierei di essere letta da milioni di persone ed essere demolita da critici professionisti. Tanto chi ti demolisce c’è sempre, quindi chissenefrega. Dove firmo? 😀
PS Che bello che sono nel tuo bollettino ^_^
Serena dice
Esatto, pensare al lettore non è scrivere per denaro, è comunicare a un livello profondo con coloro ai quali stai raccontando la storia. Chi scrive da poco spesso si preoccupa più di altre cose che di “parlare” con chi li leggerà. Di essere originale, per esempio, e così diventa cervellotico o lezioso o incomprensibile. O desidera sorprendere, e così la trama si trasforma in un colossale WTF. Parlare al lettore non vuol dire essere banale o elementare o scontato, anche perché uno scrittore può scegliere, consapevolmente o meno, a chi raccontare la propria storia. Magari solo a un’élite in grado di comprendere, e non c’è niente di male. Il rapporto comunque resta autentico.
Come in un rapporto d’amore non va bene né essere falsi, né essere concentrati solo su se stessi.
(E io sono onorata di averti nel mio bollettino :* )
Silvia Algerino dice
Io sono dell’idea che una qualunque opera capace di avere successo (fosse pure quella che tu non nomini ma abbiamo capito) lo ottiene perché sa rispondere alle esigenze di una grossa quantità di pubblico, indipendentemente dal fatto che abbia un grosso valore artistico o meno.
L’essere vicina alla gente, capirla e soddisfarne (o far credere di soddisfarne) i bisogni spesso è la chiave vincente. E per far questo deve essere anche comprensibile al vasto pubblico.
Studiando copywriting ho imparato che chi comunica deve sempre porsi al livello base del suo target, perché non può poi dire che la colpa è dell’utente che non ha capito.
Forse in narrativa vale lo stesso principio: se vuoi un vasto pubblico devi essere comprensibile per quel vasto pubblico.
La storia è senza dubbio centrale, ma dove richiede una forma troppo complicata (e non sto parlando solo di linguaggio) taglia via una grossa fetta di pubblico.
Ora, per me, forma e contenuto devono andare di pari passo. Non può essere avvincente una storia che non segua certi meccanismi che, appunto, la rendono avvincente. Rendersi conto di questo, secondo me, fa anche sì che vadano rivalutate certe opere bollate troppo facilmente come spazzatura (quella di cui sopra però no, dai).
Quindi per me non c’è prima la storia. Ci sono opere (fatte di storia e forma) che mi piacciono perché si fanno leggere volentieri e altre che non mi piacciono perché dopo due pagine mi hanno stufata. Indipendentemente dal successo che hanno avuto e dalla reputazione di cui godono.
Serena dice
Ma quando ti stufi di un’opera, che cos’è che ti fa stufare più spesso?
Darius Tred dice
È una domanda interessante, la prima. Io sono d’accordo con quanto dici: “prima di tutto viene la storia”. Tutto il resto viene sempre e comunque DOPO. E per “resto” intendo dire sia fans (una trentina o una trentina di milioni), sia critici (che apprezzano o non apprezzano, che esaltano o demoliscono).
Credo che scrivere una storia significhi, tra le altre cose, fare un patto di onestà intellettuale con sé stessi.
Un patto del tipo: la mia storia è questa, punto. Può piacere, non piacere, avere significato o essere insignificante, trasmettere bene o male un messaggio. Ma non la posso cambiare per ragioni di marketing, per piacere ai fans o per suscitare una critica letteraria favorevole.
Serena dice
Sono più che d’accordo e vado oltre: il patto di onestà intellettuale non lo fai con te stesso e basta, lo fai con quelli a cui racconti la storia. E se stai barando, quelli se ne accorgono e si sentono presi in giro. Prendi ad esempio il pornetto che citavo nel post. Lì l’operazione di marketing è clamorosa e visibile, la volontà precisa di utilizzare dei cliché è palese, o perlomeno è palese per una buona fetta di lettori – lettrici – tra le quali la sottoscritta. Non so come si possa stare ad ascoltare un narratore così insincero, e sono anche convinta che buona parte dell’impatto di quella roba sulla massa sia attribuibile all’utilizzo furbetto della trasgressione… ma non divaghiamo. Il signor Kawahara mi sembra autentico, almeno fin dove ho letto, così vero da essere naif, inopportuno anche. Ha costruito Kirito, il protagonista maschile di SAO, un po’ come è lui (introverso, diffidente) e un po’ come avrebbe voluto essere. Forse proprio per questo il meccanismo di identificazione funziona e pare sia una della chiavi del successo della storia.
(Poi vabbè, Kirito è giovane, figo, lo chiamano Black Swordsman, sta con una gnocca da paura che ama teneramente e dalla quale è ricambiato… e che vogliamo di più XD )
Daniele Imperi dice
Nel caso di fumetti e cartoni animati, e anche di film, per quanto mi riguarda ciò che conta non è solo la storia, ma anche le modalità in cui viene narrata. A me i fumetti e i cartoni giapponesi non piacciono per niente, non riesco proprio a leggerli/vederli, perché quello stile di disegno non mi piace. Ho letto però un paio di romanzi giapponesi e mi sono piaciuti.
Idem per i film: ho un rifiuto per il cinema italiano moderno, quindi in quel caso della storia a me non importa nulla, perché tutto ciò che permette a quella storia di esistere sono gli scenari italiani, gli attori italiani, la loro voce, le colonne sonore deprimenti, ecc.
Ma anche per i romanzi, alla fine, contano altre cose: la traduzione , lo stile del traduttore, lo stile dell’autore. Tutto questo può farti amare una storia, come può fartela odiare o passare inosservata.
Serena dice
Mumble. Però non mi è mai successo di mettere giù una storia appassionante perché la traduzione faceva schifo. Di arrabbiarmi sì, certo, di sentirmi un po’ rapinata anche, ma ho comunque continuato a leggere. Convengo che le modalità sono molto importanti, e il bello della lettura è che buona parte della modalità te la puoi gestire tu. I protagonisti hanno la faccia che gli dai tu o anche nessuna faccia, le voci che ami, anche l’ambientazione prende la forma che tu gradisci.
Parlando di me e Sword Art Online, l’innamoramento è iniziato con l’anime ma si è approfondito con la lettura. E il signor Kawahara non è poi ‘sto genio di scrittore: alcuni libri gli sono venuti maluccio, così come gli archi narrativi successivi a quello originale, quello di Aincrad. Però mi ha acchiappata e sono curiosa di vedere quando mi stuferò.
Per una storia appassionante sono disposta a perdonare le parti venute male e certi svarioni della trama. Molto meno eventuali incongruenze nel comportamento dei personaggi; perché il legame si crea attraverso il personaggio, e se quello ti tradisce perdonare è dura.