Il testo che segue è la traduzione di questo articolo di Joanna Penn, pubblicato nel settembre 2013 e scritto in risposta ad un intervento poco felice dell’agente letterario Rachelle Gardner (che io peraltro conosco e seguo con piacere).
Ne consiglio la lettura diretta. Sono interessanti anche i 244 commenti.
“Non puoi scriverlo.
Non puoi pensarlo.
Non puoi immaginare certe cose.
Nessuno ti ha dato il permesso di essere questa persona, di pensare in questo modo, di scrivere così, di pubblicare quella cosa.
Sei una brava ragazza. Che cosa dirà la gente di te?
Questo era ciò che diceva il mio critico interiore, ma nel corso degli anni mi sono sentita ripetere le stesse cose da persone che mi erano vicine. Credo sia successo solo negli ultimi sei mesi che io mi sia data il permesso di lasciar scatenare la me stessa più autentica sulla pagina bianca. Finalmente sto trovando la mia voce.
Fa una paura del diavolo, perché ne è emerso che le mie storie sono oscure e contorte ma, nello stesso tempo, lasciar correre la mia mente a briglia sciolta è vivificante e liberatorio .
Ma sono costretta a ricordare continuamente a me stessa che non mi serve il permesso di nessuno, per scrivere. Se non lo faccio, rischio di sguazzare nella mediocrità.
Un amico mi ha detto che sono cambiata da quando sono diventata una scrittrice a tempo pieno. Ma credo si tratti solo del fatto che il mio vero io sta finalmente emergendo dopo anni di repressione, passati a fare quello che ci si aspettava da me.
E come è avvenuto questo cambiamento?
Sono vent’anni che tengo un diario, ma scrivere in questo blog per quasi cinque anni mi ha cambiata molto di più. Perché premere il bottone “Pubblica” mi ha costretta a pensare più profondamente a quello che voglio dire.
Perché queste parole andranno per il mondo, e la gente potrebbe leggerle.
Perché ho incontrato scrittori che mi hanno sfidata ad andare più a fondo.
Quelli di voi che mi seguono da più tempo hanno assistito al mio cambiamento mentre condividevo il mio percorso, con i suoi alti e bassi.
Premere il pulsante “Pubblica” su Amazon o altri distributori ha lo stesso effetto. Ci rende man mano più coraggiosi, perché dobbiamo continuare a dare il meglio di noi stessi nella scrittura e riceviamo un feedback quasi istantaneo dai nostri lettori.
Questo è il bello del Self Publishing: che non abbiamo più bisogno del permesso di nessuno.
Se non avessi autopubblicato Pentecost quattro anni fa, o premuto il tasto “Pubblica” su questo blog, sarei ancora un’infelice consulente informatica che si limita a parlare di scrittura invece di scrivere.
Se non avessi tenuto duro per tre romanzi, non avrei trovato la mia voce con il quarto.
Se avessi chiesto il permesso, o avessi aspettato che qualcuno mi scegliesse, sarei ancora lì a sognare che cosa avrebbe potuto essere e non è stato.
La possibilità di scrivere e autopubblicarsi non significa di certo che andrà tutto bene al primo colpo. Non garantisce il successo di Hugh Howey o Amanda Hocking.
Ma ti smuove interiormente, ti costringere ad andare oltre in modo creativo. Ti rende capace di aprirti la strada per il prossimo passo, e dopo tutto la vita di uno scrittore è un viaggio avventuroso, non una destinazione.
Quindi, avete il permesso. Avete il potere.
Di scrivere.
Di pubblicare.
Di creare relazioni con lettori e altri scrittori in tutto il mondo.
Per quanto mi riguarda, ho smesso di fare la brava bambina. Mi sono data il permesso. E voi?
Nota di Serena: non sono una traduttrice professionale, quindi invito coloro che sono in grado di farlo a leggere l’articolo originale in lingua inglese e a segnalarmi eventuali inesattezze.
Quanto a me, ho smesso anch’io – da un pezzo – di chiedere il permesso.
Grazia Gironella dice
Credo che tutti noi che scriviamo abbiamo, in fondo in fondo oppure in superficie, un bisogno di legittimazione, quindi sì, è facile aspettare il permesso. Così come è facile sentirsi dei fake anche quando si hanno risultati positivi. Se l’autopubblicazione significasse soltanto questo, mi ci butterei volentieri. Il resto ancora non mi convince, per me, qui e ora. Intanto immagazzino informazioni e rifletto. 🙂
Serena dice
Vero, hai ragione. La cosa ridicola è che ho visto quasi sempre e solo i migliori domandarsi se ciò che scrivevano era “buono”. Anche ritenere di non meritarsi il riscontro positivo è tipico di quelli bravi.
Il punto fondamentale però è: chi è che ti legittima? Non gli editori, di sicuro. Gli editori devono vendere. A seconda del pubblico che hanno, scelgono ciò che li fa vendere di più. Non vivono di aria e di vocazione, e dove ci sono di mezzo i soldi il resto passa volentieri in secondo piano. Non dico che non si possano coniugare l’esigenza di marginare e la qualità della produzione, ma è sempre più difficile.
Non so se hai letto “Inchiostro antipatico” di Paolo Bianchi. La parte dedicata al premio Strega, a come si scelgono i candidati e si determinano i vincitori, è molto interessante.
Allora chi ti legittima? Secondo me gli editor, per esempio. A quello ci credo ancora. Una persona che per lavoro analizza opere e le aiuta a diventare la versione migliore di se stesse. Anche loro però ad un certo punto si fermano, sono esseri umani e hanno i loro gusti, come tutti. A me piace moltissimo Mozzi (che non è esattamente un editor), ma quando fa certe sparate sul self… Boh. E anche lui in fatto di lettura ha i suoi gusti. Ho scaricato l’estratto di un libro recensito sul suo blog. Intriganti da morire titolo, descrizione, tutto quanto… Una. Palla. Mostruosa. E io qualche mattoncino nella vita me lo sono letto, fidati.
Chi, allora? Il pubblico? I lettori? Uno può decidere che si sente legittimato se vende un sacco di copie. Non è male, come legittimazione, ma anche a volere essere aperti, anche a voler analizzare con umiltà e senza invidia le ragioni di tanto successo, scusa se io nelle sfumature non ci ho trovato niente di bello. L’ho trovato nauseante, non sto scherzando. Imbarazzante, tanto erano trasparenti i cliché inseriti e la tecnica utilizzata. E non era neanche il “meglio” della James, non ancora. Lo dicevo nei commenti: il quarto libro è allucinante. Ecco, forse sono scritti in modo sufficientemente corretto dal punto di vista grammaticale. Per il resto, possono aver venduto milioni di copie ma fanno schifo lo stesso. Ho letto solo il primo, gli altri non ce l’ho fatta e mi sono limitata a degli estratti. Nausea. Li trovo offensivi dell’intelligenza umana. Ma evidentemente è gusto personale, a un sacco di gente sono piaciuti.
E allora? Allora la legittimazione alla fine non puoi che dartela tu autore.
Nel mio caso credo si tratti della serenità di avere fatto del mio meglio. Dopo quello, chiunque può dire quello che vuole, io sono tranquilla. Tranquilla per modo di dire, non vuol dire che non mi farà male se qualcuno mi dirà che la mia storia fa schifo. Ma non credo di fare molto più schifo di alcuni libri che sono già sugli scaffali.
Recentemente ho pubblicato qualche capitolo del mio WIP su un archivio online, per avere qualche riscontro. Lì si può recensire con le bandierine: rosso è negativo, bianco è neutro/negativo, verde è una recensione positiva. Una tipa mi ha messo la bandierina bianca dicendomi che la storia le piaceva, era intrigante, voleva sapere cosa succedeva dopo, ma avevo sbagliato quasi tutta la punteggiatura del discorso diretto: mi dimenticavo sempre di chiudere i trattini. Quando andavo a capo. L’altra ragione della recensione negativa era che avevo scritto “pomolo” invece che “pomello”. Errore di ortografia. Non sono neanche riuscita a rimanerci male, mi è venuto da ridere.
Forse oltre a te stessa ti può legittimare solo chi ama la scrittura quanto te. Ma corri dei rischi anche in quel caso. Quando leggiamo narrativa valutiamo, apprezziamo, narrazione e scrittura. Che non sempre sono l’una all’altezza dell’altra. E c’è chi privilegia l’una e chi l’altra.
Torniamo a noi?
Non credo che il SP sia per tutti. Io lo vedo come una delega, e non in senso negativo, delega e basta. Se vuoi che a certe cose ci pensino altri, puoi scegliere la pubblicazione tradizionale. Ma tra la pubblicazione con un piccolo editore e il self, non vedo molte differenze. Rischi addirittura di vendere e guadagnare di più se fai tutto da sola, e la promozione resta in entrambi i casi a tuo carico.
L’importante, secondo me, come sempre, è non avere le fette di salame sugli occhi e non illudersi che la legittimazione possa venire solo dalla pubblicazione tradizionale. Sinceramente non capisco come si possa crederci ancora, mi sfugge proprio la logica.
Poi alla fine ogni scelta deve essere rispettata.
Aggiungo: tu, secondo me, ti puoi permettere il lusso di scegliere un modo o l’altro. Nessuno ti può promettere il successo, questo è vero, ma secondo me hai possibilità sia con un metodo che con l’altro. Sopratutto se ti impegni un po’ di più nell’autopromozione, tiè 😛
Grazia Gironella dice
Grazie! 🙂 Sono d’accordo, la pubblicazione con piccoli editori, anche se seri, non è superiore all’autopubblicazione in termini di risultati, anzi. Con la grande editoria hai la diffusione effettiva nelle librerie. Quella davvero mi fa gola (tanto per sembrare disinteressata). Comunque il tuo discorso sulla legittimazione non fa una grinza.
Grazia Gironella dice
Diffusione effettiva nelle librerie, ma (mi insegna il mio agente) non necessariamente un posto al sole, e il ricambio è megarapido: via uno, avanti l’altro. E ri-sparisci. Alla faccia del miraggio.
Serena dice
Che poi è una delle ragioni per cui è necessaria la famosa piattaforma online. Per non sparire.
Comunque pare che i libri self tendano a vendere meglio con il passare del tempo, a certe condizioni ovviamente. Devo segnarmelo e scriverci su un articolo.
animadicarta dice
Suona un po’ strano sentir parlare di “permesso”. Vero è però che l’idea di pubblicare da soli potrebbe dare un senso di euforia e potere. E questa è una parte del fascino del self per me. D’altra parte non è che non abbia dubbi, così che più che di permesso sento il dovere di chiedere a me stessa se ne ho davvero il coraggio. E ne viene fuori un dialogo un po’ da schizofrenici… 🙂
Marco amato dice
Il coraggio centra bene il punto.
Nel self publishing si evidenzia molto la differenza fra il coraggioso e l’incosciente.
L’incosciente agisce senza consapevolezza del pericolo.
Il coraggioso conosce bene i rischi, ma dentro di sé trova la forza per superarli.
Anche per me, che in qualche modo mi sento teorico del sel publishing, all’atto pratico, servirà tanto coraggio.
E allora mia piace pensare a quei capitani coraggiosi che durante le scoperte geografiche ponevano la prua verso l’ignoto. Il naufragio è a vista. Ma in fondo la vita nel suo pur breve arco temporale è un’avventura, la nostra storia, il nostro romanzo. E allora sì, vivere nel coraggio, ne sarà valsa comunque la pena.
Serena dice
La vita è il nostro romanzo *_* Verissimo!
Sono andata a cercarmi una citazione ma ora non la trovo, comunque suonava più o meno così: quando si è indecisi su una scelta importante, bisogna andare a interrogare noi stessi da vecchi. Incontrare il nostro sé novantenne e chiedergli “E allora? Come ti sentirai se farò così piuttosto che cosà?”. E il consiglio finale era: Choose what makes for the best story. Fai la scelta che creerà la storia migliore. Il tuo romanzo, appunto. 🙂
Marco amato dice
Ma sai che questa citazione è proprio vera?
A me scrivere mi rende un uomo migliore. Nei romanzi la vita dei personaggi può passare in un lampo. E mentre scrivi te li ritrovi già vecchi, a ricordare, con i rimpianti, le cose non dette, con la felicità che è scivolata come sabbia fra le dita. E allora mi viene da pensare a me stesso, ai miei sbagli, al bello che mi son perso, anche per sciocchezze. E imparo.
Da un lato mi scopro più saggio, dall’altro più passionale nel cogliere la bellezza che si insinua anche negli anfratti più piccoli.
Terapeutico direi.
Serena dice
Secondo me, molto banalmente, dipende dal carattere di ciascuno. A un’estremità troviamo quelli che se ne fregano totalmente dell’approvazione altrui, dall’altra parte ci sono quelli che non possono vivere senza, e così hanno bisogno di permessi per tutto. In mezzo ci siamo noi che guardiamo con grande interesse la possibilità di pubblicarci da soli, ma nello stesso tempo dobbiamo fare appello a tutto il nostro coraggio. E ce ne vuole davvero tanto!
Credo sia come buttare il tuo bambino nudo e indifeso in pasto ai leoni. C’era Foster Wallace che diceva una roba del genere… se ritrovo il pezzo te lo incollo qui sotto 🙂
Daniele dice
Forse all’estero gli editori non ti permettono di autopubblicare un libro, se hai un contratto di edizione con loro? Non credo lo facciano tutti, ci sono tanti autori che pubblicano in entrambi i modi.
animadicarta dice
Anche in Italia è così, fino alla scadenza del contratto di edizione, non puoi pubblicarti altrove. O forse ho frainteso ciò che volevi dire?
Daniele dice
Allora forse non ho capito. Intendevo questo: pubblico il libro A con un editore e poi pubblico per conto mio in self il libro B. Io non ho visto clausole del genere in due contratti editoriali che mi hanno proposto.
Marco amato dice
Allora in Italia questa prassi editoriale non c’è ancora. Al massimo gli editori per contratto mettono una clausola di prelazione. Tipo i prossimi due romanzi prima li proponi a noi, se rifiutiamo puoi proporli ad altri.
Quel tipo di contratto, di divieto al self publishing è prettamente americano. Lì è in atto una guerra tra editori e Amazon. La più recente di cui abbiamo avuto eco anche qui da noi è stata Hachette contro Amazon. Adesso vige la tregua, ma sotto ci sono tensioni da guerra fredda.
Perché il contratto anti self? È presto detto. Se io autore pubblico con l’editore X e ho un piccolo successo, quindi acquisto visibilità presso i lettori, il prossimo libro, dato che lì il mercato self è vasto, potrei pubblicarlo da solo. Cioè passare da royalty del 15/20% (lì sono più alte) al 70%. Fa parecchio gola agli autori. Perché significa poter vivere di scrittura. Si dice che Amazon giochi anche sporco (versione editore e agenti) cioè contatti gli autori emergenti o già famosi per passare in self, concordando anche profili di visibilità garantiti.
Ti immagini cosa accadrebbe al mercato, se Amazon riuscisse a portare King o altri top al self, anche con un libro di prova? Lo sdoganamento totale.
È una guerra dura e spietata.
Si dice, ma non ci sono prove, in quanto negli Usa le clausole di segretezza son roba seria, che per King l’editore paghi anticipi mostruosi e di sovente vada in perdita. E le royalty per lui sfiorino il 40%.
Insomma, dall’altra parte dell’Atlantico c’è la guerra dei mondi. Qui da noi, si sonnecchia allegramente. 😉
Daniele dice
Non sapevo di questa guerra. Io ho avuto proposta di due contratti ma non erano romanzi. Non credo però che accetterei di essere legato in quel modo. Il diritto di prelazione lo conoscevo, ma personalmente sono d’accordo se mi sono trovato bene con l’editore, altrimenti me ne cerco un altro.
Serena dice
Io! Io voglio leggere i tuoi libri! 😀
Serena dice
…E noi siamo ancora qua ad aspettare che qualcuno ci faccia l’onore di pubblicarci. Quando l’unica cosa che gli interessa è VENDERE DURO.
MA PER PIACERE.
Ieri sono inciampata in un articolo di un blogger americano, se lo ritrovo ve lo posto qui sotto. Praticamente leggeva l’ultimo libro delle sfumature, il quarto, quello scritto dal punto di vista di lui. Non so se da noi è già uscito. Poi twittava in diretta dei brani con il suo commento.
Io credevo che avessimo toccato il fondo del fondo del fondo, ma leggere del signor Gray che si consulta col suo pisello fa capire che il fondo si sposta sempre più in basso.
MA LO PUBBLICANO CON SOMMA GIOIA, perché fa vendere. Ed è giusto così, le case editrici mica sono Onlus.
Non ho altro da dire, vostro onore 😛 E continuiamo allegramente a sonnecchiare 🙂
Serena dice
(che poi, stavo pensando: non ho neanche mai provato a mandare una delle mie cose a un editore o a un agente. Non credo lo farò mai, ma potrebbe essere un’esperienza istruttiva)
Marco Amato dice
Ma come? Non hai mai mandato niente a editori e agenti?
Non hai allora il marchio di qualità del rifiutato reiterato. Qui in Italia è un bollino di garanzia dell’essere scrittori.
Cosa?
E poi vorresti pubblicare in self tagliando la fila dopo che tutti gli altri si son fatti un mazzo di rifiuti?
Io posso farlo perché son matto, ma tu?
Ah vero, un po’ matta lo sei anche tu. 😀
Serena dice
Certo! Dipende sempre dal tipo di contratto, per come ho capito io. Alcuni autori che hanno ceduto i diritti di un’opera possono decidere di autopubblicarne un’altra, magari solo in ebook, per promuovere la prima.
Marco amato dice
Eh ma voi donne siete esagerate e pretenziose. Certo che occorre chiedere il permesso. Non all’editore, che a lui non importa niente dell’autore, se non per il fatto che può portare alle sue tasche, e solo alle sue, i din din.
Io ad esempio devo chiedere il permesso a mamma e papà, al gatto del vicino, al cane, al gallo e al canarino…
Va beh, basta con l’irriverenza…
Il mio essere si chiama autodeterminazione. Non cedo le variabili del mio destino all’arbitrio di un sì o di un no all’altrui. Delle capacità o incapacità altrui.
Faccio quel che posso, col fuoco sacro della mia passione.
😉
Serena dice
Su di te non avevo alcun dubbio XD Ragazzaccio! 😀
Chiara (Appunti a Margine) dice
Bellissimo questo pezzo! Mentre lo leggevo ero attraversata da un brivido, perché mi rivedevo completamente nelle emozioni dell’autrice. Ho ripreso a scrivere dopo un lungo silenzio in un momento in cui sentivo una profonda necessità di dire al mondo chi fosse davvero Chiara Solerio, senza la solita paura e sensazione di inadeguatezza che provo quando pronuncio ad alta voce il mio nome. E scrivendo ho lasciato uscire tutte le emozioni che mi erano rimaste incastrate dentro, con la consapevolezza che anche le storie più tetre erano parte di me, figlie di un passato che aveva lasciato un imprinting profondo sulle mie cellule. Scrivendo, scrivendo e scrivendo ancora ho lasciato che le mie parole mi attraversassero e, come una goccia d’acqua che a forza di cadere nello stesso punto riesce a creare un solco anche nella roccia, trasformare anche le mie strutture più rigide. Sarò sempre grata alla scrittura per questo splendido regalo… 🙂
Serena dice
La scrittura può essere un fine quando aspira solo o principalmente a diventare bellezza, ma è anche un mezzo. Uno strumento che si può usare per compilare la lista della spesa come per descrivere a noi stessi e agli altri ciò che siamo. Probabilmente la scrittura è il “tuo” mezzo, quello davvero giusto per te 🙂 Anch’io ho la sensazione che sia il mio mezzo principale, anche se non il solo. Ogni tanto avverto il bisogno fortissimo di fare qualcosa con le mani, dal lavorare all’uncinetto all’impastare pane e biscotti XD
Non so se hai avuto modo di leggere l’articolo di Rachelle Gardner e tutto ciò che ne è conseguito. Joanna nei suoi thriller racconta cose leggermente inquietanti XD e parte di quanto dice nel brano che ho tradotto si riferisce ai contenuti che crea. Però si riferisce anche, e nelle sue risposte alla Gardner si comprende anche meglio, al modo che ha scelto per condividere le sue opere. Come persona adulta ed autore autopubblicato, rivendica la libertà e la responsabilità di gestire le proprie opere e di avere cura dei suoi lettori. È estremamente seria nel lavoro di revisione, si serve di editor professionisti e fa confezionare le sue copertine da esperti. In questo senso, dice, non ha bisogno del permesso di nessuno per pubblicare i suoi libri.
Questo per quanto riguarda un autore che ci tiene alla qualità.
Però, per fortuna, nessuno ha bisogno del permesso di nessuno né per scrivere né, ormai, per diffondere la propria scrittura. Sarebbe molto grave il contrario. Solo che ogni tanto è il caso di sottolinearlo, perché ancora troppi di noi credono di avere bisogno che qualcun altro sancisca il loro diritto di scrivere e pubblicare. Specularmente, esiste chi pensa di poter stabilire chi può scrivere e chi no. Ridicolo. L’unica cosa che possiamo fare, in realtà, è decidere cosa è meglio per noi stessi e per ciò che scriviamo. E farlo.