È pratica comune tra gli scrittori non professionisti (ma gli “scrittori professionisti” esistono ancora?) lamentarsi del proprio lavoro “vero”. Quel lavoro
frustrante, che non soddisfa le mie aspirazioni, che mi mortifica, che mi toglie il tempo per scrivere.
Chi non c’è cascato almeno una volta, inclusa la sottoscritta? Siamo in tanti a sognare di vivere di scrittura, ma è il caso di tornare con i piedi per terra. Le superstar sono una percentuale ridicola, rispetto a tutti coloro che scrivono, e mettere insieme anche solo un modesto stipendio da impiegato esclusivamente vendendo la propria produzione letteraria è un’impresa tra il titanico e l’impossibile.
(Non dico che non si possa vivere con la scrittura, ma non può essere esclusivamente quella. Ne parleremo meglio in un altro post.)
Ma ammesso e non concesso che fosse possibile, in un mercato ristretto e saturo come quello italiano, vivere di sola scrittura, sei proprio sicuro che vorresti scrivere tutto il giorno? Perché un conto è scrivere per il piacere di farlo; tutt’altra cosa è esserci costretti per portare a casa la pagnotta. Vorresti essere, che ne so, Camilleri o Eco o uno dei pochi scrittori italiani che han già venduto il loro ultimo libro ancora prima di pubblicarlo? Beh, anch’io vorrei essere Claudia Schiffer. Come diceva un mio amico toscano, “Sognare l’è bello e ‘un hosta nulla”.
Sono appena rientrata dopo le ferie, e le mie vacanze sono state molto belle, lo ammetto. Prima che la beatitudine svanisca e il delirio ricominci per davvero, permettetemi di fare ammenda di certi mugugni passati e di pubblicare, come è giusto che sia, un
Elogio del “day job”, e cioè il lavoro che ti paga i conti
(se sei J.K. Rowling o Stephen King o John Grisham o Hugh Howey o Amanda Hocking, non serve che continui a leggere)
Il mio lavoro mi permette di scrivere.
Sembra un controsenso, vero? Sto fuori di casa almeno dieci ore al giorno (ho una pausa pranzo lunga). Sono dieci ore che, sommate a quelle per dormire, mangiare, occuparsi della famiglia, dell’igiene personale e delle incombenze domestiche, di spazio per la scrittura ne lasciano ben poco. Eppure, queste dieci ore di lavoro che c’entrano poco con le mie passioni mi regalano una certa tranquillità economica, e quindi una predisposizione mentale favorevole alla creatività. Mi dicono dalla regia che con la pancia vuota non si ha molta voglia né di scrivere storie, né di leggerle né di usare il cervello: prima si deve mangiare. Lo so, con ‘sti chiari di luna nessuno può dirsi veramente tranquillo. Ma per adesso è così, e speriamo che duri.
Un altro modo in cui il mio lavoro mi permette di scrivere è che mi regala la pausa pranzo. Sono certa che se fossi a casa mi metterei a stirare, riordinare le bollette o togliere il ciarpame dalla cantina o *inserire lavoro palloso che continuate a rimandare, cosa che vi fa sentire in colpa da morire*.
Il mio lavoro mi aiuta a mantenere la salute fisica.
Questa ve la devo spiegare. Lo sapete che sono in macchina varie ore al giorno, e che quando non sono in macchina sono al PC. Eppure c’è di peggio. Recentemente ho letto un articolo sul sito di Joanna Penn che descriveva una serie di problematiche cui vanno incontro le persone che scrivono molto. Alcuni autori sono stati costretti a ridurre le ore di scrittura a un paio al giorno a causa di tendiniti, sindrome del tunnel carpale, problemi cervicali, disturbi causati dalla postura… Considerato quanto io sia incapace di autoregolarmi quando scrivo, sarei ridotta ad uno straccio!
Il mio lavoro mi aiuta a mantenere l’equilibrio.
Più di uno studio – vedi per esempio questo qui – dimostra che gli scrittori sono una categoria ad altissimo rischio di depressione e altri disturbi dell’umore. Vi risparmio la lista degli scrittori morti suicidi, l’intento era quello di consolare! Pare che l’area del cervello che viene sollecitata quando si scrive in modo creativo sia la stessa che si attiva quando si elaborano pensieri complessi. La vita già di per sé fornisce abbondanti motivi per deprimersi, anche senza scrivere,e se in più si passano troppe ore al giorno soli con i propri personaggi… Ahia. Siamo dei geni, sì 😛 ma ad alto rischio di scoppiare.
Come si cura la depressione? Prima di tutto con un serio aiuto professionale. E poi uscendo, facendo movimento, esponendosi alla luce, praticando attività manuali e interagendo socialmente. In altre parole, lavorando!
(N.B.: mai sofferto di depressione, che io ricordi. Ma non sono nemmeno mai stata tutto il giorno chiusa in casa a scrivere per lunghi periodi).
Il mio lavoro accresce le mie competenze.
Sono nel settore marketing/commerciale da diversi anni. Grazie a questo ruolo ho frequentato corsi, sviluppato abilità, appreso tecniche e mi sono tenuta, volente o nolente, al passo con la tecnologia. Se non facessi il lavoro che faccio, sarei molto più indifesa nell’affrontare la pubblicazione Indie, e me ne rendo conto in modo particolare quando mi confronto con altri autori che hanno meno anni di attività alle spalle, oppure non hanno idea della… jungla che c’è là fuori. Comunque altri lavori e altre attività portano altre competenze, che non avremmo se passassimo le giornate in casa attaccati a un PC. Ogni attività è una finestra sul mondo, che porta nuovo materiale per le nostre storie.
Il mio lavoro mi ha regalato, e mi regala, innumerevoli occasioni di incontro.
Questa è proprio una peculiarità della mia attività. Vedo almeno quattro clienti ogni giorno, e in più ci sono i colleghi, il cameriere del ristorante, il benzinaio… Non mi posso certo lamentare che mi manchi il contatto con le persone. E voi sapete quanto questo sia fondamentale per nutrire la nostra scrittura, in particolare la capacità di creare personaggi “vivi”. A me una volta è addirittura successo di incontrare una mia personaggiA in carne ed ossa… e sono quasi cascata a terra quando, poco dopo, ho conosciuto il marito, che assomigliava in modo impressionante al compagno che le avevo dato nella mia storia!
In conclusione…
Nonostante gli inevitabili incazzi, qualche frustrazione, le giornate no, la pressione verso gli obiettivi, ho imparato a essere grata per il mio lavoro. Cerco di onorarlo, di svolgerlo bene, al meglio delle mie possibilità. Quando riesco, ci ficco dentro qualche competenza acquisita grazie alla mia passione per la lettura e la scrittura. Quando è proprio impossibile, non importa: il bicchiere è molto più che mezzo pieno. Speriamo che duri.
Non significa che non mi piacerebbe fare il colpaccio, eh. E non significa nemmeno che dalle mie parti sia tutto rose e fiori. Proprio per niente. Ma cerco di essere equilibrata e positiva, finché è possibile.
Daniele dice
Io vorrei riuscire ad abbandonare tutto e mettermi a fare l’agricoltore: starei tutto il giorno in mezzo alla natura, senza sentire la puzza della città, e quando stacco mi metterei in pace a leggere e scrivere.
Hai ragione su tutto.
Serena dice
Quello è un sogno che ho anch’io. Vivere in mezzo alla natura cambia sostanzialmente il valore di tutto… Non mi ricordo se l’ho scritto qui o da qualche altra parte, ma proprio pochi giorni fa dicevo a qualcuno che la bellezza della natura dà senso a molte cose e giustifica molte cose. Sì, se trovassi la famosa lampada e il genio mi chiedesse cosa voglio fare, rispondere qualcosa di molto simile a quello che hai detto tu 🙂 Nel frattempo coltivo pomodori, fragole, un basilico enorme e un po’ di piante aromatiche sul balcone 😛
Seme Nero dice
Da qualche tempo ho rivalutato la questione lavoro, in virtù del fatto che, se sei chi sei e fai quel che fai ecc. lo devi anche al percorso che hai fatto fino a quel momento e forse, non avessi avuto quel lavoro di cui tanto mi sono lamentato non avrei deciso di spendere tanto tempo ed energie in qualcosa di diverso.
Bisogna saper trovate un compromesso tra quello che il tuo lavoro ti dà e quello che ti aspetti, la mera sopravvivenza è un’offesa alla propria dignità ma a un certo punto bisogna capire che nessuno ti regala niente o quasi, e che ti piaccia o no le maniche te le devi rimboccare. In un certo senso è uno sprone: e se la fatica che spendi e sai di poter spendere la usassi per un progetto tuo e nel quale credi?
Serena dice
Bello. E anche molto vero: bisogna imparare a non domandarsi troppo come sarebbe andata se avessimo voltato a destra invece che a sinistra, e apprezzare la vita che abbiamo invece che un’altra mai vissuta, della quale non sappiamo nulla.
Quanto all’ultima domanda, me la faccio spesso anch’io. E se tutte le energie che spendo in questo lavoro le mettessi in qualcosa di mio? Non so. Come dicevo ad Alessia, non c’entra solo l’energia, c’entra anche la propensione al rischio. Io per lavoro ho a che fare con imprenditori grandi e piccoli, con aziende a conduzione familiare o più grandi. Li ammiro tutti, tutti, perché magari non devono scattare al richiamo di un capo, ma non smettono mai veramente di lavorare: la responsabilità è al 100% sulla loro testa e non li abbandona quando tirano giù la saracinesca. Se si ammalano o hanno qualche guaio, sono cavoli acidissimi e sempre tutti loro. Ce la farei? Non lo so.
(Poi il discorso di come spendo la mia energia me lo faccio anche a proposito di altre cose. Tipo, visto che sono una rompicoglioni di rara costanza, non avrei forse dovuto dedicare la mia energia a qualche causa un po’ più importante dello stipendio, o perfino della scrittura? Un pensiero che ho formulato la settimana scorsa, davanti alla foto di un bambino su una spiaggia. E qua mi fermo, perché so che hai capito e magari anche a te è scappata una lacrima. Il mio compagno, però, mi ha consolata dicendomi che anche la scrittura è una buona causa, perché le parole possono cambiare le emozioni delle persone e hanno il potere di fare il bene. Scusa la tremenda divagazione.)
Alessia Savi dice
Ah, che bello questo articolo!
Sai quanto avrei avuto bisogno di lui un anno e mezzo/due fa?
Venivo da una situazione aziendale non rosea: ero frustrata, preoccupata, con nessuna aspettativa di crescita e in attesa che scoppiasse tutto. In quel periodo mi sono preparata al peggio studiando: ho ripreso in mano il web design, ho lavorato un sacco sulle mie competenze grafiche, mi sono data da fare su come si lavora sui social. Ora, faccio quello che facevo prima: la ragioniera, in un’altra azienda. Quello che accade, però, è che tutto quel tempo che credevo perso sono abilità che mi torneranno utili, che già ora vedo fruttare più di quanto non facciano le ore dei miei simili passate sui social. La sicurezza economica concede altre aspettative, decisamente. In quell’anno e mezzo in cui credevo di volermi rifare una carriera da zero, ho imparato che voglio scrivere. Scrivere tanto, e bene.
Scrivere e farlo al meglio.
So che è la più grande soddisfazione del mondo posare la penna e dire “ce l’ho fatta!”.
Non m’illudo che in Italia si viva di questo, ma voglio illudermi di poterne trarre grandi soddisfazioni.
Sai, un mio amico fotografo mi diceva “Sei pazza? Io professionista? Finirei con il dover fare il fotografo ai matrimoni. Io sono un surrealista. Che vuoi, che cerchi di uccidere la sposa? Lascia perdere: faccio il giardiniere e quando ho voglia di fare le fotografie che mi ronzano in testa, parto!”
Secondo me non si sbagliava poi tanto.
Tu che dici?
Serena dice
Pare che il tema sia caldo: proprio oggi ho trovato in posta questo articolo che arriva a conclusioni abbastanza simili alle mie. Giusto nel caso in cui tu non abbia tempo di leggerlo, ti anticipo che William Faulkner, T.S. Eliot e Toni Morrison hanno scritto le loro opere lavorando a tempo pieno, quindi tenendosi il loro “day job”.
Credo che, come al solito, la scelta giusta sia molto personale, e che in questo caso dipenda dalla propensione al rischio.
(Mio fratello fa delle foto bellissime e ogni tanto gli chiedo perché non cerca di monetizzare questa sua capacità. Mi ha risposto una cosa molto simile a ciò che diceva il tuo amico XD con la differenza che lui ama molto il suo “day job”, anzi, direi che è il suo “dream job” 😀 )
Marina dice
La carriera di avvocato non faceva per me, ho lavorato per una società consortile che si occupava di finanziamento europeo di aziende, ma, lo so che la sto sparando grossa, il più bel lavoro che mi sono scelta è di fare la mamma a tempo pieno, così con il primo figlio ho mollato tutto per dedicarmi a lui. Poi, siccome la cosa mi è piaciuta, sono andata sicura incontro al secondo figlio; in pratica, il mio “day job” è praticamente quotidiano!
Lavo, scrivo, cucino, scrivo, stiro, scrivo, ogni tanto scrivo e basta… e al diavolo tutto il resto! 🙂
Serena dice
Oh, su quel lavoro lì con me sfondi una porta aperta 😀 Nel mio caso è solo una questione di… non so, chiamiamolo destino, che io non sia una plurimamma felice.
… solo due? Dilettante 😛 Giorni fa leggevo un articolo di una blogger americana di successo, grande successo, che ha sei bambini. SEI. Ho detto SEI! Non so se leggi l’inglese, se sì te lo giro, credo ti piacerebbe moltissimo. Se no lo metto in lista per la traduzione!
Bacio, a te e ai cuccioli 🙂
Marina dice
Traduzione traduzione, grazie!
(Non più tanto cuccioli: 12 e 14 anni e, se proprio devo scendere nel dettaglio, avrei voluto averne di più – certo non sei – ma QUESTI DUE qui… mi sono bastati, anzi ne avanzano, persino!) 😀
Grazia Gironella dice
Non ce l’ho, il day job! Mi sono licenziata dal mio posto di lavoro quando mi sono trasferita da Bologna in Friuli, otto anni fa, e non ne ho più cercato un altro. Comunque sono d’accordo con te su tutto. L’unico “ma”, diventato pesante nei miei ultimi anni a Bologna, è che un lavoro che non ti piace per niente ti drena un sacco di energie. C’è un minimo sindacale, insomma, al di sotto del quale rimane come attivo solo la sopravvivenza economica (e scusa se è poco!). A parte questo, credo che molti di quelli che percepiamo come ostacoli siano invece il granello di sabbia intorno al quale si sviluppa la perla della nostra scrittura. 🙂
Serena dice
Anche tu felicemente disoccupata! 😀
Il discorso delle energie è verissimo, anche per un lavoro che ti piace. A volte arrivo a casa la sera che sono svuotata completamente. Mi chiuderei nello stanzino delle scope per stare in pace, e invece – MA RINGRAZIO IL CIELO TUTTI I GIORNI PER QUESTO – ho i miei uomini e due gatti che mi aspettano. Probabilmente non do il massimo di me, certe sere. Ecco, per loro mi dispiace. Per la scrittura, ho imparato a fare quello che molti consigliano, e cioè inserire in agenda un appuntamento per scrivere e rispettarlo come se fosse quello del dentista o del saggio di fine anno di mio figlio. Così ho la sensazione di avere fatto qualcosa ogni giorno. Mi sa che un giorno metto nel blog la mia agenda, così mi fate pat-pat 😀
animadicarta dice
Penso che amare il proprio lavoro e apprezzarlo come sai fare tu sia una fortuna, o forse dovrei dire una bella capacità. Tuttavia, io sono felicemente disoccupata da due anni e apprezzo molto questa condizione. Ovviamente non per il discorso economico, ma tralasciando quello, si può dire che sono molto grata del tempo riconquistato, della mancanza di stress e dei mille altri problemi che vivevo. E pensa che io lavoravo nell’editoria, quindi avevo un lavoro molto vicino a ciò che mi piace fare. Ma un lavoro è comunque un lavoro, e infatti capisco quello che vuoi dire quando ti chiedi se scrivere per professione ti piacerebbe. In qualche modo sentiresti la pressione, non ti sentiresti libera, percepiresti i vincoli delle scadenze, di ciò che ci si aspetta da te, ecc. Lo capisco. Forse non è facile essere creativi in quel caso… chissà.
Serena dice
Guarda, io e il mio lavoro abbiamo una relazione burrascosa, ecco XD Una volta mi sentivo più apprezzata, ora meno. Le aziende in generale non sono portate a premiare le madri lavoratrici, e pure un po’ stagionate XD. Però quest’estate, mentre facevo qualche bilancio personale, ho “sentito” che c’era molto per cui essere grata, e mi sono segnata di farci un po’, per ricordarlo anche ad altri che magari faticano a conciliare lavoro e passioni.
Faulkner diceva che la Musa lo baciava ogni mattina alle nove, quando metteva il sedere sulla sedia. Io non sono Faulkner, non saprei XD Certo dovrei avere un po’ di tranquillità, essere forse, come dici tu, “felicemente disoccupata”.
Lo avevo annusato che venivi dall’editoria o qualcosa del genere… troppa competenza <3 I tuoi post su revisione ed editing sono lì che mi aspettano.
Bacio, buona giornata!
sandra dice
D. sei proprio sicuro che vorresti scrivere tutto il giorno?
R. ilmattinohal’oroinboccailmattinohal’oroinboccailmattinohal’oroinboccailmattinohal’oro…..
D. e voi, che rapporto avete con il vostro dayjob?
R. ottimo, il mio lavoro non l’ho cercato: è lui che ha trovato me. Ovviamente in anni di vacche grasse, anni in cui si gettava la rete (un tot di domande per concorsi pubblici) e, quando la si tirava su, si sceglieva per quale amministrazione lavorare. Nel corso degli anni diciamo che me lo sono fatto piacere, considero anch’io una grande ricchezza le occasioni di incontro che mi offre, la possibilità di organizzare la mia giornata – me ne accorgo in ferie: quando non si lavora si perde tempo a cazzeggiare, una rassettatina qua, un pisolino là, leggo il giornale e, magicamente, è finita la giornata.
Accresce le mie competenze? Col cavolo! Le mie risse col Server del Misterioso Ministero sono epocali, sono un’immigrata digitale e nemmeno dei più svegli, ho proprio paura di poterci fare poco.
Mi aiuta a mantenere l’equilibrio? Mboh… sono una persona discretamente equilibrata, credo, e la vecchiaia sta aggiungendo saggezza e attitudine a guardare le cose dalla giusta distanza. Non avendo mai provato, per mia fortuna, ad essere inattiva non saprei dire.
Infine mi aiuta a mantenere la salute fisica, oltre che a migliorare seppur in minima parte la salubrità dell’aria di Genova da quando ho deciso di andare a piedi (3.4 km ogni giorno, solo andata, di cui vado orgogliosissima).
In conclusione, a parte il fatto che non sono uno scrittore, vorrei far l’elogio delle pause pranzo. Le tue e le mie. 😉
Vediamo di continuare, ognuna secondo le proprie inclinazioni e competenze, a farle fruttare al meglio, OK?
Serena dice
Ahahahaha!!! Ciao bella, benvenuta nel blog! 😀 Ah, le nostre pause pranzo… Mi ricordo certe corse per pubblicare prima di mezzogiorno, in modo da rispettare l’appuntamento XD Quel tipo di pubblicazione mi manca molto, sai? Non è detto che non la riprenda con un’altra serie, non con Cristallo, ma il tempo è veramente poco, perciò per adesso mi concentro su Anna & C.
Quindi 3,4 Km tutti i giorni? Sticavoli O.O complimenti!
Quanto alla vecchiaia… “Age is just a number, baby” dice qualcuno di nostra conoscenza, no? A proposito: si avvicina il 13 settembre, e io come ogni anno andrò a ripiangere e rileggere una certa storia di una certa tipa che sostiene di non essere una scrittrice.
Bacio.
sandra dice
La postura che tengo scrivendo e lavorando è identica, per cui non faccio grossi danni alla schiena, soprattutto perchè + sputtanata di così … per il resto ho scelto di recente di mantenere il posto attuale, quando avrei avuto la possibilità di cambiare, perchè avrei guadagnato molto meno (qualche ora in più a settimana per scrivere l’avrei avuta) e io tengo moltissimo al tenore di vita conquistato con grandi sacrifici, rospi ingoiati, sacrifici di varia natura. Ne ho parlato a lungo da me, sono molto stressata dal lavoro ma ho una certa contropartita e pure una certa età e il tempo per i sogni me lo sono ritagliato. Per quanto riguarda gli incontri, be’ ho conosciuto mio marito proprio qui che lavora al piano di sopra, non siamo colleghi però. In ultima analisi mi occupo di adempimenti fiscali, quanto di più lontano ci sia dalla scrittura, ne convengo. Un bacione
Serena dice
“Il tempo per i sogni me lo sono ritagliato” è una frase bellissima e vera. Ci vuole una certa saggezza per poterla dire.
Sai a me cosa spaventerebbe? Il dover scrivere per forza, per campare. Un professionista lo saprebbe fare, immagino, io non so se riuscirei. Magari sì, ma non sono sicura.
Marco Amato dice
Sai che io non sono propriamente d’accordo con questo articolo.
Che il lavoro dia il pane e la sicurezza non ci piove. Ma dato che siamo carne senziente dotata di sogni e aspirazioni ritengo che la vita non possa essere tutta qua.
Chi ha smesso di credere ai propri sogni diventa il più grande nemico di quelli altrui, dice un mio personaggio. E la routine del lavoro, gli impegni a tutti i costi che chiamiamo doveri, spengono i sogni e le aspirazioni della gente. Tu sei un’eccezione, ma la maggior parte delle persone sono grigie. Si sono spente e adeguate alla realtà.
Io per molto tempo, per quasi vent’anni ho cercato di rassegnarmi e spegnere i miei sogni. Sono riuscito a spegnere la musica. Tutti quei miei anni adolescenziali chinato a comporre, quei brani che per me oggi sono echi, ricalcano un mondo che in me non c’è più. Ho spento pure il disegno e la pittura, tutte quelle idee di quadri rappresentano la fine ideale di un’immagine di me. E ho provato pure a spegnere la scrittura. Per adeguarmi al lavoro e alle necessità. Ma qui con la scrittura il mondo reale ha perduto. Per vent’anni ho provato a spegnere la passione, ad adeguarmi ai giorni, ai viaggi per il lavoro sapendo che facevo qualcosa di importante per la mia famiglia. Ma la mia brace sottesa, quella che arde contro ogni volontà, non è riuscita a spegnerla nessuno, né io, né gli altri.
La mia brace, per riprendere il sopravvento, ha aspettato il momento in cui io col mio scudo protettivo ha ceduto.
Io da ragazzo ero un sognatore, ma il mondo mi ha insegnato a diventare pragmatico, economico, commerciale, a concepire strategie concrete di marketing. Roba che non c’entrava nulla col biancore della mia anima iniziale. La realtà mi ha sporcato, iniziato al mondo. Però adesso, dopo 20 anni, il sognatore che riemerge non ha più solo sogni, ma armi. Il nemico chiamato realtà mi ha forgiato armi che oltre a sopravvivere, oggi mi permettono di combattere la mia battaglia per i sogni. Non sono più un ragazzo indifeso, io adesso posso combattere.
Questo è quello che dovrebbe fare ciascuno: combattere. Non rassegnarsi a quel che viene detto, alle verità conclamate come dogmi da chi non ce l’ha fatta o da chi non osa. Abbiamo una vita limitata e possiamo determinarla nel fare o nel non fare.
Sono diventato troppo pragmatico per credere come un illuso nei sogni. Ma sono talmente pragmatico che so per certezza che esistono le possibilità.
Le possibilità di fare bene. Le possibilità di una grande strategia. La consapevolezza che quando i limiti fisici di un mercato non sussistono, grazie al fervore della passione è possibile raggiungere comunque risultati insperati.
Se scrivere è ciò che si desidera, ogni altro lavoro è una perdita di tempo. Una perdita di tempo necessaria, vitale, con spunti anche entusiasmanti, ma sempre una perdita di tempo.
È evidente che tutti dicono che vivere di scrittura è impossibile.
Ma proprio perché è impossibile, il guerriero che crede nel suo ideale deve lottare. Deve riporre fede nei suoi mezzi. Chi rinuncia prima di aver combattuto ha già perso in partenza.
Perché al livello tecnico, quando si parla di vivere di scrittura si commette un errore grossolano. E qui parla il me pragmatico forgiato dal mondo.
Quando chi dice che sia impossibile vivere di scrittura sbaglia il modello economico di riferimento.
È sempre tutta questione di modelli economici.
Se un amico mi dice: sai ti sbagli, è impossibile con un cavallo andare di corsa da Roma a Milano. Il cavallo si stanca, ha bisogno di rifornirsi, riposare, occorrerebbero più cavalli a fare staffetta. È al di sopra delle tue possibilità.
Ah sì, lo guardo io perplesso. Ma io da Roma a Milano vado con l’auto e mi basta un pieno.
È inutile ragionare con le possibilità del cavallo, cioè col sistema editoriale tradizionale, quando in realtà esiste un modello differente che è il self publishing. Il sistema editoriale tradizionale è tarato perché lo scrittore sia povero. Punto. E se un giorno pubblicherò il mio blog avrei un bell’articolo al riguardo.
Il sistema tradizionale prevede una royalty dal 7 al 15%. Dove il 7 è se ti chiami esordiente e il 15 se ti chiami Camilleri. Lo scrittore che scrive materialmente il libro, l’artefice principale del prodotto libro percepisce una percentuale minore rispetto a tutti gli altri attori in campo: editore, distributore, libraio..
Ma che razza di modello economico è? E giuro che nella mia vita di modelli economici ne ho visti tanti.
Nel self publishing l’autore guadagna una royalty del 70%.
Se parliamo di vivere di scrittura credo che sia evidente che parlare di editoria e parlare di self significa discutere di due modelli economici (e strategici) completamente differenti.
È impossibile andare da Roma a Milano con la concezione del cavallo. Ma se esiste l’auto…
Poi uno potrebbe dire, per me l’unica essenza del viaggio è andare a cavallo. Se l’editore non mette il timbro, per me non è un libro. Ragionevole e giusto, ci mancherebbe. Ciascuno ha i propri valori di riferimento.
Che poi la maggior parte degli scrittori non potrà vivere di scrittura è ovvio. Ma non è un problema del modello, che dice arrivi a questa soglia e ce la fai. È un problema di condizioni e parametri. Tutta un’altra storia. 🙂
Ops… forse mi sono sfogato un po’ troppo, mi dileguo… almeno per un mese. ;D
sandra dice
Nooo, resta 😀
Serena dice
Ma no… Come dice Sandra, non dileguarti! Ma perché? Io comunque lo sapevo che avresti scritto una cosa del genere, ormai ti conosco 😛 Tu però conosci me, ormai, e dovresti saperlo che non è da me predicare di rinunciare ai propri sogni. Solo, come dici giustamente tu, bisogna fare le cose per bene. Oggi ascoltavo (sì, solo l’audio, ero in macchina!) uno dei nuovo video di Joanna Penn, quello sulla roadmap. Sono bellissimi, tutti, mi è piaciuto un sacco quello sulla gestione del tempo. Ma non divaghiamo. Adesso conta solo dire questo: lei parlava del suo percorso, e diceva che 1) bisogna avere le idee molto chiare, una visione, un obiettivo e 2) ci ha messo dieci anni ad arrivare dove è adesso. E spiegava tutto il processo.
In generale, poi non mi piace chi sputa nel piatto dove mangia, soprattutto di questi tempi. Al mugugno è meglio sostituire un piano d’azione concreto, e nel frattempo apprezzare ciò che si ha. Forse volevo ricordarlo a tutti, e a me stessa. Tutto qui 🙂
Marco Amato dice
Come no, dopo oggi mi prendo un mese di ferie dai commenti. Giuro :O