Il primo giorno del 2015 ho cominciato, come previsto, l’auto-editing della mia “Cristallo”. A proposito, la storia si chiama “Cristallo” perché io dentro di me la conosco così, ma non è affatto detto che avrà lo stesso nome quando sarà pronta per essere letta. Vedremo.
Comunque, tornando a noi, dopo avere terminato la prima stesura ho lasciato passare un mese intero e ora, finalmente, sono pronta. Il mese di pausa è assolutamente necessario per recuperare una visione più fresca di quel che ho prodotto; se si tratta di racconti o di testi brevi mi può bastare una settimana o anche solo qualche giorno, ma nel caso di un manoscritto di 100.000 parole circa il mese, secondo me, deve passare tutto e forse ancora non basta. Il meccanismo è quello di “dimenticarsi” di ciò che si è scritto per vederlo il più possibile con occhi nuovi, ed è lo stesso per il quale potete riguardare un film, o rileggere un libro, dopo un po’ tempo dalla prima volta, e godervelo lo stesso se non addirittura di più, perché scoprite nuovi elementi, nuove sfumature, punti di vista alternativi.
Voglio mettere il massimo impegno in questo lavoro di revisione. Lo considero importante quanto la prima stesura. Parto dall’idea che la prima versione di ogni mio lavoro sia sempre inguardabile, anche se magari non lo è, e non la sottoporrei così com’è nemmeno ai miei beta-reader più affezionati, perché ho troppo rispetto per il loro tempo. Quello che ricevono di solito, e riceveranno anche stavolta, sarà il massimo a cui posso arrivare con i miei mezzi. Oltre alle mie possibilità, ci sarà forse – vedremo – l’intervento di un editor professionista. Ma non ne sono ancora sicura, e in ogni caso anche l’eventuale professionista riceverebbe un testo già revisionato al massimo delle mie capacità.
(per un esempio di processo di editing di un autore auto-pubblicato, leggete qui. Se non leggete l’inglese ma siete interessati, fatemelo sapere e vi farò la traduzione)
Nell’articolo di Joanna Penn che vi ho linkato sopra, il primo passaggio suggerito è quello di una revisione strutturale, e mi trova completamente d’accordo. Non avrebbe alcun senso fare un editing riga per riga, riscrivendo frasi intere, quando non si è ancora sicuri della posizione che avranno le diverse parti del testo oppure, peggio ancora, non si sa nemmeno se quelle parti sopravviveranno al machete. Perché non so voi, ma io quando edito vado giù pesante. Taglio senza pietà, e disgraziatamente mi succede assai spesso di chiedermi “e questo pezzo che ci sta a fare? e quest’altro a cosa serve? e questo, ma dove avevo la testa?” e via di questo passo.
Dunque, prima di tutto la struttura. “Prima di tutto la struttura” è il mio mantra: vale in fase di creazione della storia, vale in fase di editing.
La buona notizia nel mare di lavoro “sporco” che ho davanti a me è che, usando Scrivener, la revisione strutturale sarà relativamente semplice, nel senso che mi sarà risparmiata, per fortuna, tutta quella parte di apricartella-apridocumento-aprineunaltro-tagliadauno-incollanellaltro-doveèfinitoil pezzo-maquestolhogiàfatto-okciriprovo che tocca a chi usa un normale editor di testi, tipo Word per intenderci. Il concetto alla base della creazione di questo software, pensato da uno scrittore per gli scrittori, è che ogni “pezzo” di testo può essere gestito in modo indipendente ed essere sia “genitore” (quindi, avere sotto-documenti) che “figlio” (quindi, essere inserito gerarchicamente sotto ad un altro documento) che “parente” (quindi, essere collocato sullo stesso livello strutturale di uno o più altri documenti). È un’innovazione importantissima perché rende estremamente semplice lo spostamento, l’unione e la divisione di ogni unità di testo fino alla realizzazione della struttura finale del libro. Non vi è un limite al numero di livelli che si possono gestire; questa flessibilità può interessare poco a un autore di fiction, che di solito ha da uno a tre livelli (parti, capitoli e scene), ma diventa estremamente interessante se, per esempio, si deve scrivere una tesi di laurea.
Nemmeno queste, però, sono le caratteristiche che rendono le prestazioni di Scrivener insuperabili in fase di revisione. Ecco il vero jolly: il software ha una modalità di visualizzazione “lavagna di sughero” (corkboard) sulla quale ogni documento appare come una scheda di cartoncino, e in questa modalità si ha una perfetta visione d’insieme dell’opera con tutte le parti al posto desiderato. La sequenza delle schede è chiarissima – si può perfino vederle virtualmente impilate una sull’altra – e può essere modificata trascinando le schede stesse con il mouse o con le scorciatoie da tastiera. Ogni scheda, poi, può essere contrassegnata con colori, scritte trasversali, un titolo e una sinossi del contenuto, così che il colpo d’occhio è davvero completo.
Io sono partita da una situazione iniziale in cui avevo un progetto Scrivener diviso in “beats” (sì, mi sono ispirata alle tecniche della sceneggiatura. Il testo più divertente ed immediato? Questo, senza dubbio, disponibile anche in italiano). Un “beat” è un momento fondamentale della trama ed io, usando quelli di Blake Snyder, il concetto base di struttura in tre atti e anche un po’ il metodo del fiocco di neve , mi sono creata i miei, che in Scrivener apparivano inizialmente come documenti e sono poi stati trasformati in cartelle con dentro altri documenti; una delle tante possibilità offerte da questo software geniale.
All’inizio della revisione, il primo lavoro che ho svolto è stato quello di riportare ogni documento allo stesso livello strutturale (li avevo etichettati come “scene”), eliminando le cartelle. Scrivener offre la possibilità di scrivere brani isolati, anche piccolissimi, che io in questa fase ho unito tra loro o spostato al posto giusto, con la massima libertà. Ho diviso altri brani più grandi dove necessario. Alla fine mi sono ritrovata con una cosa di questo genere:
Con la visione generale sotto gli occhi, ho controllato che i punti strutturali previsti durante la progettazione della storia fossero presenti e sviluppati. Non mi sono soffermata molto sui contenuti e sulla dinamica della narrazione, perché ho cercato di risolvere questo tipo di problemi ben prima di cominciare a scrivere. In altre parole, a domande come “Il conflitto è sufficientemente forte? La posta in gioco è abbastanza alta da interessare il mio lettore ideale? Gli eventi narrati sono necessari a far progredire la storia?” ho già risposto quando ho riflettuto sulla trama; sarà quindi un editor professionista, eventualmente, a fornirmi altri elementi di riflessione o a farmi notare le debolezze di cui io non mi sono accorta. Per il momento più di così non posso fare, quindi sono passata alla suddivisione in capitoli.
Ho cominciato ad accorpare delle scene in capitoli (c’è un comando molto semplice che permette di unire tra loro i documenti nell’ordine desiderato) facendo attenzione che ogni capitolo contenesse un elemento “forte” – un conflitto – e che vi fosse un momento di massima tensione con un successivo calo. Faccio in modo che ogni capitolo non superi le 3.000 parole in tutto, perché secondo me è la misura “giusta”: raramente ne ho scritti di più lunghi, mi pare che per una sequenza narrativa 3.000 parole siano più che sufficienti (ma questa è una mia scelta istintiva). Dove aveva senso farlo ho lasciato dei cliffhanger alla fine dei capitoli: li conservo se suonano “naturali”, per esempio se il capitolo successivo sarà un seguito di quello che termina, perché mi va benissimo che il mio lettore senta la necessità di leggere un capitolo in più invece di chiudere il libro. Però mi interessa di più una conclusione armoniosa che un cliffhanger a tutti i costi.
Ecco, questo è lo stato dell’arte. Sono a circa due terzi della mia suddivisione definitiva in capitoli, dopodiché entrerò nel merito di ogni capitolo. Ed entrerà in azione il machete.
Suggerimenti che secondo me potreste portar via dalla lettura di questo post?
- Provate Scrivener. Io non sono affiliata e nessuno mi ha mai chiesto di fargli pubblicità, né ci guadagno una ceppa a segnalarvelo. Però se una cosa funziona bene posso diventare anche ossessiva nel consigliarla a parenti ed amici, quindi ripeto: dategli una possibilità. Scrivener è nato per Mac ma esiste anche per PC e anche in italiano. Potreste scaricare la versione di prova, che vale per 30 sessioni di lavoro, e poi decidere se acquistarlo. Acquistatelo.
- Prima di entrare nella rilettura dei vari brani, qualunque sia il metodo che avete scelto, ricontrollate la struttura. Solo dopo procedete con le questioni di stile, la grammatica, lo spelling, la punteggiatura eccetera. Non fate del lavoro inutile, non perdetevi dietro ai dettagli se il quadro generale è ancora nebuloso.
- Divertitevi: anche l’editing è una forma d’arte. Michelangelo, secondo me, direbbe che è il livello intermedio tra la prima forma rozza data al blocco di marmo e la cartavetrata finale. È quando viene scolpito il ricciolo della barba del Mosè, la gobbetta sul naso, la ruga degli occhi che rende l’intensità dello sguardo. E chi sono io per dare torto a Michelangelo?
Volete leggere un’anteprima di Cristallo, o scoprire come scrive questa scribacchina?
Renato Mite dice
Condivido l’idea di frapporre del tempo prima della revisione e di rivedere innanzitutto la storia nel suo complesso prima di soffermarsi sui dettagli.
Serena dice
Ciao Renato, benvenuto!
Sull’editing si potrebbero scrivere fiumi di parole. Mi piacerebbe tanto anche frequentare un bel corso professionale.
Lisa Agosti dice
Anch’io uso Scrivener e mi trovo benissimo. Anch’io ho finito la prima stesura del mio romanzo e mi preparo alla revisione. In bocca al lupo! Speriamo che quest’anno ci porti fortuna 🙂
Serena dice
Andrà senz’altro bene, Lisa. Io credo che finire un romanzo sia già di per sé una cosa positiva, e che il resto venga tutto in più. Troveremo anche il modo di farci leggere 😉 . Ti auguro un 2015 fantastico!