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Serena Bianca De Matteis

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Unire i puntini

22 Settembre 2015 di Serena 8 commenti

Unire i puntini
Ho iniziato la settimana con gli occhiali da sole anche se era un po’ nuvolo.
Al primo cliente-interlocutore della giornata ho raccontato di avere un’allergia mai scoperta prima. Che avevo appena starnutito, ed era per quello che avevo gli occhi a palla.
In realtà in macchina frignavo perché sono una madre orripilante, e nello scorso weekend credo di aver dato il meglio dell’orripilitudine.
Perdo la pazienza, urlo, sbraito e poi vado ad abbracciare mio figlio chiedendo scusa di essere impaziente, urlante e sbraitona. Cerco di spiegargli che la vita è dura, che i grandi non giocano a sufficienza e quindi molto spesso sono nervosi e sbraitoni con i piccoli, ma che i piccoli non c’entrano niente. Chiedergli scusa non mi fa stare meglio. Vorrei essere una madre migliore e non dover chiedere scusa. Vorrei essere una madre punto, non una pentola a pressione con la valvola difettosa.
Comunque.
Tra i fumi nebulosi della Tragedia (“Meglio se muoio, così il mondo sarà un posto migliore”), in mattinata qualche lucina si è accesa. La razionalità, assunte le sembianze di mia sorella, mi telefona e mi dice “Rassegnati, sei una madre che lavora. Sapessi quante ne sento, che esplodono. Sapessi cosa combino io.” Son tutte balle perché lei è la dolcezza fatta sorella, ma quelle parole mi hanno fatto bene lo stesso.
Comunque.

Alla fine parlavamo delle cose belle che uno fa, alle quali si dovrebbe pensare quando ci si sente una cacchetta fumante. Anche l’orologio rotto segna l’ora esatta due volte al giorno, giusto? E chiacchiera che ti chiacchiera, chilometro dopo chilometro – sì, ero in Tangenziale – alla fine mi è tornata in mente la faccenda dei puntini.

Me l’ha ricordata Marco* la scorsa settimana. Mi lagnavo perché la presentazione del Laboratorio è andata molto bene, e quindi ho sbagliato tutto nella vita, me tapina e bla bla. Sono forte, eh? Comunque Marco* diceva: se è successo adesso e non prima, va bene così. E mi parlava di Steve Jobs e dell’unire i puntini. Ve lo ricordate? C’è un punto nel famoso discorso ai neolaureati di Stanford dove lui, in breve, dice che per capire le cose bisogna guardare indietro.
 Again, you can’t connect the dots looking forward; you can only connect them looking backward. So you have to trust that the dots will somehow connect in your future. You have to trust in something — your gut, destiny, life, karma, whatever. This approach has never let me down, and it has made all the difference in my life.
(E ancora: non potete unire i puntini guardando avanti. Potete unirli solo guardando indietro. Così, dovete avere fiducia che i puntini in qualche modo, in futuro, si uniranno. Dovete credere in qualcosa – le vostre budella, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo approccio non mi ha mai deluso, e nella mia vita ha sempre fatto tutta la differenza.)
Il 27 dicembre di tre anni fa, due persone molto importanti della mia vita hanno compiuto cinquant’anni insieme.
Cinquant'anni fa
Non c’è stata nessuna festa particolare; da quando ne ho memoria hanno sempre celebrato loro due da soli, senza spatussi di alcun genere. Mio papà a Natale regala alla mamma un torrone travestito da collier, in un pacchetto scintillante, e poi il 27 dicembre arriva il regalo vero. Qualche anno il collier è arrivato sul serio, ma non sempre. Ci son stati anche tanti anni di vacche magre. Niente cene, pochi fiori e cioccolatini, solo loro due a tavola insieme, come tutte le sere.
Così non hanno festeggiato nemmeno tre anni fa, nonostante quel numero così tondo e bello.
Cinquantesimo mamma e papàSono tutti e due un po’ vecchietti e un po’ ritrosi, non sono nemmeno andati in comune a prendere la pergamena dal sindaco.
Non potevo lasciare che finisse così.
Abbiamo tutti quanti vite caotiche, siamo sparpagliati per l’Italia; ci voleva solo la mia testa dura per riuscire a organizzare la festa. L’abbiamo fatta a luglio dell’anno dopo, quando loro ormai non se l’aspettavano più, ed è per questo forse che è riuscita così bene.
C’era un video, naturalmente. Con le foto della loro storia, da quel primo 27 dicembre del 1962 fino a quello di cinquant’anni dopo. Cinquant’anni di fotografie, tantissime in bianco e nero, anche tante foto di volti amati di gente che non c’è più. Mi sono infilata in casa di mamma e papà di nascosto per procurarmele, frugando in vecchie scatole e nei cassetti del comò. Roba che Arsenio Lupin, a me, mi fa un baffo.
La torta di mamma e papà
Volete farvi dieci anni di psicanalisi in tre giorni? Mettete insieme, da una montagna di vecchie foto, la storia dei vostri genitori. Unite tutte quelle immagini in un video con sotto delle musiche che sono la colonna sonora della vostra vita… Provate,  provate. Poi fatemi sapere.
I miei vecchi quel video lo guardano tutti i giorni. Essendo un po’ stagionati, cominciano a comportarsi, dicevo, da vecchietti, tipo ripetere mille volte le stesse cose. Ogni giorno mentre guardano il video e le fotografie ripetono: siamo stati fortunati. Oh, sì, siamo stati fortunati (e se passano di qui e scoprono che li chiamo vecchietti, mi spelano viva).
Lo sapevano anche prima che avevano… quello che hanno, insomma.
Però avevano bisogno che qualcuno glielo mostrasse. Che venisse celebrato. Che qualcuno unisse i puntini, tracciasse il disegno e mostrasse loro cosa ne era venuto fuori. Ci voleva che qualcuno gli raccontasse la storia. Perché nelle vite di tutti ci sono i giorni in cui ti guardi come in uno specchio in frantumi, e ti senti tipo un quadro di Picasso, con tutti i pezzi sbagliati e fuori posto. Solo che non è Guernica, è solo un bagno di sangue e frammenti scomposti ed esposti. Se guardi da troppo vicino, giorno dopo giorno, non ti ricordi più the big picture, il quadro d’insieme.
Organizzare quella festa, girare quel video, credo sia stata una cosa buona. In ogni caso, sì, ne vado piuttosto fiera. Quando ci penso mi dà un senso di caldo all’altezza del cuore, e non sono mica poi tante, alla fine, le cose che mi fanno sentire così. Insomma, quando mia sorella – tentando di rianimare la mia autostima boccheggiante – mi ha ordinato di pensare alle cose buone che ho fatto (“‘rena, cavolo, ce ne sarà almeno una, no?”) mi è venuta in mente questa. Tutte quelle foto messe insieme, con delle parole, legate da un filo di musica per raccontare una storia.

Papà e mamma che ascoltano la storia

Quando raccontiamo una storia, uniamo i puntini. Tracciamo un disegno: partiamo da un inizio e avanziamo lungo un percorso, poi chiudiamo il viaggio con un senso e un significato. Se abbiamo lavorato bene, il disegno è ben visibile, non è più uno scarabocchio ma una mappa. E siccome tutte le storie sono vere, e tutte le storie sono già state raccontate, ogni storia che raccontiamo rappresenta il viaggio di un essere umano, e la mappa del suo tesoro.
Chi legge una buona storia quasi sempre (ci) ritrova se stesso, a volte un se stesso ancora più vero dell’essere che si muove, cammina e respira in carne e ossa in giro per il mondo. Quando scriviamo una storia, una buona storia, regaliamo a qualcuno – che a volte non conosciamo e non conosceremo mai – la luce di una scoperta. Il dono di un significato. E, nel conto dei significati, valgono anche le vite solo sognate.
(Quanto a me, stasera chiederò scusa di nuovo**, e via così. Tiro avanti, sperando di unire prima o poi anche i miei, di puntini. Prima o poi. Per ora sono solo linee di scarruffata quotidianità.)
Note a pie’ di pagina
* Marco non ha un sito, quindi non posso darvi un link. Tie’, così impari a non darmi retta.
** Sono stata perdonata (“Mamma, quante menate che ti fai. A me piaci così”).

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. Grazia Gironella dice

    27 Settembre 2015 alle 8:37

    Jeff Goins è un grande ispiratore e ha perfettamente ragione. Tu, invece, scrivi così bene che mi abbono alle tue produzioni, presenti e future. 🙂

    Rispondi
    • Serena B. White dice

      27 Settembre 2015 alle 14:04

      E tu, invece, con questo commento, proprio perché viene da te, mi farai camminare a un metro da terra almeno per tutta la giornata. Così quando i miei uomini torneranno a casa, più tardi, mi dovranno mettere dei pesetti alle caviglie per tirarmi giù. O magari quello più giovane mi legherà ad un filo e mi userà come palloncino 😀

      Rispondi
  2. Sandra dice

    26 Settembre 2015 alle 21:15

    ohhhh, che bel post! Pieno di significato e buon senso. Di solito però le cose piene di significato e buon senso sono una palla, invece no. E qui sta il bello. A super presto.

    Rispondi
    • Serena B. White dice

      27 Settembre 2015 alle 14:02

      A super presto :* e grazie. Il timore di scrivere ‘na palla, come sai bene, ce l’ho sempre XD

      Rispondi
  3. Marco Amato dice

    22 Settembre 2015 alle 18:11

    Come non amare un post che sgorga dall’anima?
    Vedi che c’è, la vita è questa, quella vera, è qui, ogni istante in mezzo a noi. Sembra assurdo ma non la vediamo. Corriamo e spendiamo i giorni, e nel frattempo la vita vera la lasciamo scivolare via come un pugno di sabbia sul palmo aperto di una mano. Quanti uomini ricercano la felicità pensando che la felicità sia grande? No, la felicità è ogni granello di quotidianità perduto. Ce ne rendiamo conto solo quando tiriamo i puntini, quando guardiamo vite e foto del passato vissuto e ci diciamo: mah in fondo non era poi così male.
    Occorrerebbe impegnarsi solo un po’ di più ad aprire gli occhi, a vedere quel che abbiamo sotto il naso e che eppure non vediamo.

    Ok 1. Non ho un blog, e non è grave. Il vino buono ha bisogno di maturare, vedrai. 😀

    Ok2. La prossima volta, visto che i puntini di Jobs me li sono già giocati, ti toccherà sorbirti i pensieri di Leonardo. Eh… con me non si viaggia gratis sopra il treno sfrecciante della vita. 😉

    Rispondi
    • Serena B. White dice

      22 Settembre 2015 alle 19:12

      Ok, diciamo che per il blog ti ho già sgridato abbastanza 🙂 Non lo faccio più, promesso. Quanto al post, mi sono chiesta se non fosse troppo personale per pubblicarlo. Mi sono risposta che non lo è. Unire i puntini è una cosa che chi ama leggere e scrivere fa spontaneamente, mi sembrava bello ricordarlo. Il succo è quello 🙂 Spero si sia capito, al di là della storia dei miei vecchietti.

      Rispondi
  4. Samantha dice

    22 Settembre 2015 alle 10:08

    ….così ho passato l’aspirapolvere in un lago di lacrime…

    Rispondi
    • Serena B. White dice

      22 Settembre 2015 alle 12:17

      Perché sei un po’ pistolina 😛 Però ti voglio bene lo stesso.

      Rispondi

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